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October 6, 2011

Io sono Li

Jimmy Milanese

VOTO: 8

Ci sono persone costrette a dimenticare i ricordi e sorridere forzatamente ad ogni mattino, quando si alzano in una città che non parla la loro lingua, in una nazione che non si nutre della loro cultura.

Li chiamiamo comunemente “immigrati”, poi ci aggiungiamo qualche aggettivo per connotare il loro status di regolari, irregolari o in attesa di regolarizzazione. Alcuni di questi vivono da decenni nel nostro paese, altri sono appena arrivati e si fanno capire a stenti. Ad ogni modo, ai nostri occhi rimarranno per sempre qualcosa di diverso rispetto a quello che siamo noi. Nei pochi centimetri che dividono i nostri occhi dai loro, si consuma il dramma di un’esistenza scardinata dalle proprie origini.

In un mondo dove una banconota da dieci dollari compie indisturbata una media di 10.000 chilometri all’anno, senza necessità di visti o permessi, questi “immigrati”, regolari o regolati che siano, stanno di fronte alla storia con lo sguardo puntato là, da qualche parte, magari vicino alla poesia, come Bepi lo “shavo” e Shun Li la “cinese”: i due protagonisti diIo sono Li, primo lungometraggio di Andrea Segre.

Bepi è un imenso Rade Šerbedžija, ormai con le rughe scolpite che si muovono lentamente sotto il peso di tutta la grappa bevuta in questi lunghi anni di esilio forzato dalla sua Bunić, piccolo paese in Croazia, ex-Jugoslavia. Durante gli anni seguenti la guerra jugoslava, Rade era un po troppo serbo e un po troppo croato, un po troppo insofferente alle faide tra fratelli e un po troppo famoso per non venire perseguitato da ogni parte. Nei suoi personaggi egli porta sempre quel passato che ha segnato la vita di una intera generazione di ragazzi usciti dalle ceneri ancora infuocate della guerra jugoslava. Questa volta, Rade è Bepi, un vecchio pescatore slavo immigrato da ormai trent’anni a Chioggia, dove il mare si trasforma in laguna e con la marea la laguna ritorna ad essere mare.

Shun li, invece, è una giovane operaia emigrata dalla Cina che assieme a Bepi condivide il peso di quello sradicamento. A differenza del vecchio pescatore ormai adattato alla laguna chioggiana, lei quel suo passato non se lo vuole affatto dimenticare, perchè in Cina è rimasto suo figlio. Un figlio che deve essere riscattato dalla mafia italo-cinese, nel frattempo espansa e percepita come un pericolo per la popolazione autoctona.

 

I due si ritrovano a condividere le proprie ansie, i propri destini, alla ricerca di un futuro in comune ma quanto più vicino al loro lontano e non troppo dissimile passato. In questo modo, i due finiscono per costruire un percorso comune di complicità che non è ne amore ne amicizia ne fratellanza, ma qualcosa che Andrea Segrè è ruscito pienamente a dipingere. Ci volevano grandi personalità per tenere lontano questo magnifico affresco di vita lagunare da una semplice storia d’amore e il regista-seneggiatore Segrè li ha trovati e messi assieme.

Il cast, applauditissimo a Venezia 2011 e in odore di ben altri riconoscimenti, è una riuscitissima amalgama tra attori professionisti e pescatori chioggiani. Marco Paolini, Roberto Citran e Giuseppe Battiston assecondano la potente forza drammaturgica e persuasiva di Šerbedžija, notissimo come cantautore e attore teatrale nei territori della ex-Jugoslavia, in questo film nel ruolo di un umile ma non banale pescatore, poeta di un’epoca e di un mondo che fatica a sostenere la rapidità dei cambiamenti.

 

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