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October 3, 2011

Massimo Grimaldi: “voglio ripensare l’utilità del ruolo di artista”

Marco Bassetti

Mercoledì, nel secondo appuntamento de “La Classe dell’arte” (Centro Trevi, ore 20.45), quattro esponenti del settore dibatteranno sul tema “Cosa è un’opera d’arte?”, nell’ambito di un dialogo trasversale, multidisciplinare e aperto a tutti. Tra i personaggi chiamati da Paola Tognon, curatrice della rassegna, a raccontare la propria visione, c’è Massimo Grimaldi, artista che ha fatto proprio della riflessione sull’arte e sul proprio ruolo in quanto artista, il centro di una serrata ricerca estetica. Di una pratica artistica obliqua, sottile, perturbante, che indagando le possibilità del proprio fare, sperimenta i limiti dell’immagine e lo spaesamento che ne consegue: smarrendo ogni coordinata, modello, riferimento, memoria, l’immagine ci sorprende, disarmati, sulla “soglia del precipizio”, privati di un qualsiasi contatto con la spessore della cosa vissuta. In questa deriva apparentemente inarrestabile, l’artista lascia tuttavia intravvedere, come ultima frontiera della provocazione artistica, una possibile via d’uscita. Franz ha intervistato Grimaldi, registrando l’estrema coerenza di un pensiero sviluppato tra le pieghe di una ricerca autentica.

L’obiettivo della rassegna è quello di promuovere una riflessione sui meccanismi dell’attuale sistema culturale, affrontato da personalità afferenti a diversi ambiti del sistema dell’arte. Un approccio multi-disciplinare, aperto a tutti, non elitario, come giudichi questa operazione?

Positivamente. Non c’è modo di pensarne il contrario. Tuttavia la mia opinione sulla rassegna mi sembra meno importante dell’opinione di coloro che vi assistono.

Il tema specifico dell’incontro di mercoledì è “Cos’è un’opera d’arte?” e, soprattutto, “Qual è il suo potere e la sua funzione?”. Nel tuo particolare modo di vivere oggi l’arte, nel 2011, riesci a circoscriverne un campo specifico e una funzione?

L’arte è l’ambito in cui l’improduttività pensa se stessa. La produzione utilizza le sue tecniche per raffinare la pervasività e la capacità coercitiva delle proprie. Nell’arte ciò che è privo di regole acquista una forma e si regolarizza. Essa non riguarda la capacità espressiva umana, ma le limitazioni che storicamente ne hanno condizionato lo sviluppo. Non è un territorio franco di sperimentazione, è piuttosto la somma dei tentativi compiuti per cercare di dimostrarlo.

In un’intervista hai detto “Non inseguo immagini eccezionalmente belle, ma la loro piacevolezza comune e mediocre, consumer. Cerco di non farle emergere, ma di farle affondare nel flusso delle immagini possibili, private della memoria del proprio stesso significato, nel panorama di valori arbitrari e indifferenziati che già adesso disegnano il nostro futuro”. In questo sprofondamento l’arte, confondendosi con il “reale”, parrebbe negare se stessa in quanto arte. Mimesi estrema, rassegnazione, smarrimento, denuncia?

25% mimesi estrema, 25% rassegnazione, 25% smarrimento e 25% denuncia.

Nel 2010 hai vinto il primo premio MAXXIduepercento con il progetto “Emergency’s Paediatric Centre In Port Sudan Supported By MAXXI”. Hai voglia di raccontaci la genesi e il significato di quest’opera?

Il mio lavoro indaga la natura di ciò che chiamiamo “arte”, il modo con cui essa viene percepita, valutata e capita. La mia ricerca è una continua interrogazione sui criteri della produzione e della circolazione delle immagini, sul potere e i limiti della speculazione estetica, sulla possibilità di una sua ridefinizione etica. La volontà di ripensare la semplice utilità del mio ruolo di artista, in un sistema dell’arte spesso autoreferenziale e vacuo, mi ha portato a collaborare da alcuni anni con Emergency, un’associazione italiana indipendente e neutrale nata nel 1994 per offrire assistenza medico-chirurgica gratuita e di elevata qualità alle vittime civili delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà. In diverse occasioni ho proposto ad istituzioni pubbliche e collezionisti privati dei progetti consistenti nel destinare i premi per cui concorrevo al sostegno delle strutture sanitarie di Emergency, che conseguentemente diventavano il soggetto di reportage fotografici che ne documentavano l’attività. In modo analogo il mio progetto per il concorso MAXXIduepercento consisteva nel destinare la somma di € 643.800, corrispondente al 92% del compenso previsto dal bando, alla costruzione di un Centro sanitario pediatrico di Emergency a Port Sudan, in Sudan. Il Centro, che fornirà assistenza pediatrica gratuita e sarà dotato di un ambulatorio per la diagnosi delle cardiopatie nei bambini e negli adulti, è quindi diventato il soggetto di un mio reportage fotografico in progress che ha documentato tutte le fasi della sua costruzione e che continuerà a documentarne l’operatività nel tempo. Tale reportage è videoproiettato su una parete esterna del museo. In modo tale che il Centro Pediatrico di Port Sudan e il MAXXI siano idealmente congiunti dalle loro architetture, l’una nata per mezzo dell’altra. Come un’utopia finalmente realizzata.

Nei tuoi progetti cerchi di pensare “l’etica come una nuova frontiera dell’estetica”. In un futuro/presente disabitato dal senso, come tu lo descrivi e lo vivi, che senso dai alla parola etica?

Pertiene un’invenzione. Ovvero l’inventarsi, molto semplicemente, un modo di rendersi utili a sé e agli altri.

Nonostante tutto, nonostante lo smarrimento, il non-senso, l’infinita deriva dei valori arbitrari… poi, alla fine, vivi, lavori, ti dai da fare, progetti… Qual è l’impulso primario che ti fa alzare la mattina dal letto?

Scoprirlo.

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