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September 29, 2011

Bolzano cambia. L’areale ferroviario si trasforma

Barbara Breda

La Fondazione Architettura Alto Adige organizza per giovedi 29 settembre alle ore 16,30 nella sala interna del Palazzo Provinciale 1, via Crispi una tavola rotonda dal tema „Bolzano cambia“.
Il vincitore del concorso dell’areale ferroviario Boris Podrecca presenta il suo progetto e gli fanno da contorno altri esperti di livello internazionale con altrettanti lavori complessi di trasformazione urbana.
Bernardo Secchi racconta la sua esperienza ad Anversa, Reiner Nagel parla del suo progetto di Amburgo, Arnold Klotz di Vienna e Andrea Boschetti di Milano.
 I contributi dei relatori offriranno spunti ad una una pubblica discussione sul futuro di Bolzano e stimoleranno aspirazioni e desideri dei cittadini per questo grande progetto della nostra città.
In occasione dell’evento, viene presentato il nuovo numero di turrisbabel interamente dedicato ad arbo, con pubblicazione estesa di tutti i materiali del concorso, analisi e opinioni critiche sui 9 lavori consegnati per la gara, e interviste ad alcuni attori di questo grande progetto di trasformazione urbana. Pubblichiamo a seguire l’editoriale scritto dal direttore della rivista Carlo Calderan.

Nel concorso per la trasformazione dell’area dello scalo ferroviario di Bolzano i livelli di progettazione si intrecciano, sono simultanei e coagenti. Alla domanda su come si costruisca una città od una sua rilevante parte, Arbo risponde rinunciando alla consueta gerarchia scalare della pianificazione urbana che in modo mono direzionale, ordinando in sequenza piano strategico, piano del traffico, piano urbanistico, studi di fattibilità finanziaria, piani di attuazione e architettura, dal generale conduce quasi inevitabilmente al particolare. Arbo ci mostra che è possibile invece un movimento contrario, cioè che l’architettura può contribuire immediatamente alla stesura del piano. In questo caso un approccio forse inevitabile essendo richiesta una soluzione per la nuova stazione e centro intermodale destinati a diventare di per sé un edificio-città. Una dilatazione dimensionale che rischia, portata all’estremo, come ad esempio nei progetti di Zucchi e Cecchetto, di fagocitare quasi l’intero quartiere. Non si tratta però solo di un approfondimento puntuale, limitato alla stazione. Le immagini, qui come in analoghi concorsi, dominano la rappresentazione del progetto urbano prefigurandone con estrema precisione l’effetto. Una veridicità vertiginosa per chi conosceva l’areale come una delle macchie gialle assegnate dal masterplan alle aree di traformazione e pochi mesi dopo si ritrova proiettato nel futuro: scende a Bolzano da un treno ad alta velocità, sale scale mobili, attraversa aeree passerelle, si muove tra la folla luogo strade che ancora non conosce, si siede ad un caffè all’aperto o sale a casa e si affaccia dal balcone su di un mondo nuovo.

Si potrebbe, trascinati da furore iconoclasta, inveire contro l’ingannevole seduzione di questi quadri, sostenere sdegnati che l’urbanistica non può limitarsi a produrre immagini, che dietro queste facciate accuratamente ricostruite non vi sia alcuna architettura; significherebbe però semplicemente non comprendere la loro capacità comunicativa (che solo una visione elitaria di urbanistica e architettura può considerare una colpa) e soprattutto la potenza di queste simulazioni come strumento con cui verificare e giustificare dimensioni, proporzioni, geometrie scelte per progettare un nuovo spazio urbano. È lo stesso bando del resto a pretendere due inquadrature fisse, due viste a volo d’uccello obbligate che non hanno nulla di artificioso, in quanto Bolzano, per la sua collocazione, viene guardata inevitabilmente dall’alto e rivelano la consapevolezza che la nuova città non possa essere solo un diagramma bidimensionale ma debba avere una forma complessiva riconoscibile. Le risposte che i progettisti hanno dato sono differenti: KCAP non se ne preoccupano, Cruz Y Ortiz scelgono una figura elementare costituita da un pieno densissimo in cui scavano un vuoto rettangolare per un parco urbano, UN Studio scioglie la massa del nuovo quartiere in un arabesco di isolati fogliformi mentre Zucchi e Liebeskind, alla ricerca di un dialogo con le vette dolomitiche, la concentrano in ciclopiche formazioni cristalline.

Osservando queste vedute prospettiche emerge inoltre una costante rivelatrice: sono tutti fermoimmagine di un video che si svolge all’interno del quartiere. In nessuna delle simulazioni vengono infatti coinvolti brani della città esistente confinanti con l’area se non quelle porzioni di paesaggio che costituiscono le “stelle fisse” dei panorami bolzanini, il Catinaccio, le pendici boscate in ombra del Virgolo, le vigne terrazzate di Santa Maddalena. Le sofisticate costruzioni spaziali a cui molti progetti ricorrono rimangono circoscritte entro i lotti assegnati dal concorso o al più cercano un rapporto con il paesaggio, come nella bella proposta di Podrecca per un centro polifunzionale al di là della ferrovia che egli risolve in una piazza marginale, un finis terrae urbano oltre il quale si apre solo l’aperta campagna. Vi è un’eccezione però, quella del gruppo Boeri che proprio sul rapporto con la città esistente concentra la propria attenzione: spostando la stazione a cavallo del fiume, per agganciarla al sistema delle rive e risolvere il nodo di piazza Verdi, e aprendo tra nuovo quartiere e centro storico un inedito spazio urbano, una piazza-parco che unisce l’Isarco al nuovo corridoio verde sul sedime del vecchio tracciato ferroviario. Il bando del concorso per l’areale ferroviario, a differenza di ferroplan, limitava il campo di indagine ai trenta ettari di proprietà di RFI (lo scalo ferroviario ed i binari), stupisce però che i progettisti non abbiano cercato di immaginare scenari di trasformazione più ampi e abbiano accettato le frizioni che si vengono a creare tra il disegno perfetto del nuovo quartiere e il disordinato tessuto urbano dei Piani.

La realizzazione di Arbo innescherà dei processi di modificazione nel suo immediato intorno, come verranno governati? Saranno lasciati al caso? Serve un progetto di riferimento più ampio e dello stesso grado di definizione di Arbo che inglobi l’area di periferia interna che da piazza Dodiciville arriva a Via Brennero, i Piani, Rencio, la riva tormentata dell’Isarco, rispetto al quale misurare la congruità dei singoli interventi di recupero, demolizione e riedificazione.

Allargando ancor più il campo andrebbe infine verificata la coerenza del progetto areale con gli indirizzi del masterplan. Bolzano è stata descritta molte volte come una città divisa all’interno, tra i suoi quartieri, e all’esterno dalla campagna, che la circonda, la assedia, la comprime, una città sbilanciata, un corpo con un baricentro eccentrico, pesantissimo e periferico come quello di una cometa. Il masterplan cerca di curare queste distorsioni lavorando sulle linee di frattura, trasformandole in connessioni, come quelle che uniscono i pezzi di un puzzle nell’immagine scelta per veicolarne il programma. La linea ferroviaria è oggi una di queste faglie, ma tra tutte certo la meno problematica. Se di recente non si fossero trasferiti degli uffici provinciali, un cinema e nuove attività terziarie sarebbe rimasto un problema solo per i pochi abitanti dei Piani. L’idea poi che spostando la linea ferroviaria si possa riequilibrare la struttura urbana della città mi pare sbagliata, non è ad est che Bolzano potrà crescere perché andrebbe subito a sbattere contro i valori fondiari dei vigneti di Santa Maddalena o poco più in la contro la gola dell’Isarco. Arbo rafforzerà anzi la struttura mono centrica di Bolzano creando un punto ad alta accessibilità, paradossalmente più vicino a Bressanone e Merano che al quartiere di via Resia, che finirà per attrarre quelle funzioni centrali che il masterplan immagina invece di distribuire lungo l’asta fluviale che dal Virgolo si spinge a Castel Firmiano, in quel nuovo immaginifico parco delle rive capace finalmente di misurare la vera dimensione della città.

Forse mi sbaglio e Bolzano sarà grande abbastanza per contenere entrambe le visoni.

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