Music

September 22, 2011

Instant Cut: The art of Turntablism, sabato a Transart

Marco Bassetti

“The art of Turntablism”, ovvero l’arte di suonare i dischi. O meglio, come ci spiega la curatrice, l’arte di suonare il giradischi (turntable, appunto). A condurre il gioco quattro artisti/dj alle prese con il loro strumento, quattro nomi della scena sperimentale europea ciascuno con il proprio stile, ciascuno con il proprio approccio. Obiettivo: “mostrare le diverse sfaccettature di questa pratica”. All’incrocio tra suono, rumore, silenzio, gesto, corpo, manipolazione, memoria. Questo avverrà sabato sera all’Alumix. Con anche Franz, partner della serata, ad osservare e, perchè no, forse a partecipare. Abbiamo intervistato Valeria Merlini, curatrice dell’evento, studiosa/dj/artista bolzanina con sede a Berlino, legata ad un percorso di vita e di ricerca molto interessante.

Partiamo, se ti va, proprio dalla tua storia. Una traiettoria molto interessante: da una laurea in sociologia urbana a Firenze a un master in “soundstudies” a Berlino. Nel tuo lavoro queste due discipline trovano una connessione, in che modo?

La mia laurea è in architettura con indirizzo sociologico urbano. In occasione della mia tesi di laurea mi ero occupata della percezione sensoriale nello spazio urbano, in particolare della percezione di in/sicurezza nello spazio pubblico in relazione alle politiche di sicurezza urbana. Mi ero chiesta come poter alimentare una percezione sicura dello spazio costruito in cui viviamo con la progettazione architettonica e quella urbana. Un modo diverso per affrontare il tema rispetto a quello più consolidato, basato su un sistema di controllo sociale e del territorio di tipo repressivo. Il mio interesse verso la percezione sensoriale dello spazio urbano nell’esperienza del quotidiano e la mia passione per i suoni e la musica (da sempre esistita) si sono incontrati ed intrecciati quando ho scoperto l’esistenza del World Soundscape Project, quella del Forum Klanglandschaft e quella del centro di ricerca CRESSON. Appassionata e felice di aver trovato un anello di congiunzione possibile tra le discipline che mi interessavano ho organizzato nel 2006 insieme all’INU, al FKL e al Comune di Bolzano “La città suonante”, un simposio internazionale che desiderava mostrare come poter integrare l’aspetto sonoro nella progettazione architettonica e urbana. Tenere quindi conto della dimensione sociale e culturale del suono nel contesto locale e non ridurlo esclusivamente ad essere un elemento disturbante, quantificabile, su cui intervenire seguendo dei parametri normativi. Gli atti raccolti sono stati successivamente pubblicati in Atlas (Nr. 31). In quell’occasione mi ero resa conto che per poter ricercare e sperimentare con maggiore libertà applicazioni su questi temi a me cari, spesso considerati da molti come visionari, dovevo tentare un altro percorso. Da qui il legame col Master in Sound Studies che ho frequentato presso Universität der Künste di Berlino, un master specifico sulla comunicazione acustica e sulle applicazioni del suono nella sound art e nella musica di ricerca. Va anche detto che il mio interesse verso il suono e la musica è da sempre esistito, sin da quando ero bambina. Prima da ascoltatrice, poi come conduttrice radiofonica e dj ed infine come sound artista.

Studiosa/curatrice e artista/dj, teoria e prassi: anche qui si può trovare una connessione, come la concepisci e la vivi? C’è un fare creativo in ogni ricerca teorica e c’è un fondo di teoria in ogni pratica creativa?

Assolutamente sì. Secondo me le due parti sono complementari. Una ricerca teorica senza un’ applicazione nella pratica può essere estremamente affascinante, può raggiungere notevoli livelli di astrazione e di sofisticazione, sicuramente stimolanti su di un piano intellettuale e di ricerca. Trovo però che manchi di una componente fondamentale, un confronto con i possibili limiti delle sue applicazioni, una verifica su di un piano concreto, reale. Porto un esempio. Successivamente alla mia laurea ho avuto la fortuna di poter lavorare per diversi anni insieme a Barbara Giacomozzi come consulente al progetto “Bolzano città sicura e solidale”, progetto del Comune di Bolzano finanziato dal Fondo Sociale Europeo. In quel contesto, che richiedeva un approccio interdisciplinare tra i vari settori coinvolti, ho avuto modo di confrontarmi con le difficoltà reali nell’applicare quanto avevo ricercato e studiato su di un piano teorico. Era stato necessario un grosso lavoro di mediazione sociale e politica per attuare alcuni progetti in determinati quartieri. La possibilità di confrontarmi con i limiti determinati da terzi o da contesti particolari, la messa in discussione del progetto, l’elaborazione di nuove strategie per provare a dare loro una continuità è stata un’esperienza per me molto importante, di crescita. Questo approccio nella prassi si riflette anche in ambito artistico. Per esempio per chi lavora con installazioni site-specific, dove la negoziazione è parte attiva del gioco e a volte il processo è più interessante del risultato finale.

Arriviamo a “Instant Cut: The art of Turtablism”, ovvero, sostanzialmente, l’arte di suonare i dischi. Puoi farci un brevissimo excursus storico? In principio Grandmaster Flash, Kool Herc e la cultura hip hop o la Giamaica? E poi?

Sì, l’arte di suonare i dischi, ma anche e soprattutto il giradischi.. Mah.. Direi piuttosto che ci sono più storie e percorsi contemporaneamente che spesso confluiscono gli uni negli altri. Al momento in cui la registrazione cessa di essere solo una testimonianza di un evento, la cattura di un suono, ma diventa possibile utilizzarla come materiale musicale – suonare le registrazioni – ecco che appare il giradischi, per molto tempo il più “consumer” degli apparecchi adatti a riprodurre materiale registrato. Per cui certo, le “version” giamaicane, i “lati b” strumentali dei singoli, i supporti che riproducono il dub – già di per sé un lungimirante esempio di come suonare e risuonare delle registrazioni – al momento in cui vengono riprodotte dal giradischi e su di esse vengono sovrapposte nuove linee vocali, diventano nuovo materiale musicale, e siamo nella prima metà degli anni ’70. Poco più tardi nell’hip hop la musica comincia a essere immaginata anche come collage e ricontestualizzazione di registrazioni, ecco che il giradischi si trasforma in una specie di nuova “dashboard” futurista, e così abbiamo lo “scratch”. E sono anche gli anni in cui comincia a definirsi con carattere nuovo la figura del dj in ambito dance in un lungo percorso che dalla disco porterà alla house music e techno. Ma sono pure gli anni in cui in ambito d’avanguardia artisti concettuali come Cristian Marclay o Milan Knízák immaginano i primi interventi per dischi e giradischi, modificando se non proprio attaccando l’oggetto di vinile. E precedenti esempi dell’utilizzo del giradischi ci sono anche in composizioni di John Cage e nelle esplorazioni della Musique Concrète. Quello della sperimentazione d’avanguardia è poi l’area di ricerca che verrà testimoniata da “Istant Cut”. Un percorso che passa da Klaus Van Bebber a Otomo Yoshihide, Philip Jeck a Martin Tetreault per arrivare appunto a Ignaz Schick o Arnaud Rivière con cui spesso spariscono addirittura i dischi ed è il corpo stesso del giradischi ad essere suonato.

In un panorama così variegato quale, dunque, l’idea alla base del workshop da te curato per Transart?

L’dea che sta alla base è diffondere e condividere i saperi sul turntablism nella musica di ricerca, mostrando le diverse sfaccettature di questa pratica. Oggigiorno il giradischi ed i vinili sono sempre più considerati come oggetti di antiquariato, sostituiti da altri riproduttori audio e da formati digitali. Il giradischi ed il vinile sono degli ottimi strumenti musicali per manipolare in tempo reale la memoria fissata. Si può agire sul suono registrato intervenendo sulla puntina e sul mixer applicando diverse tecniche di missaggio derivate dalla cultura hip hop, ma non solo, vedi il cut-up e il mash-up, oppure la musica elettronica dove il giradischi è fonte per creare loop e stratificazioni sonore. Si può agire sullo stesso vinile che può essere modificato, scomposto e riassemblato per poi essere suonato e venire quindi nuovamente trasformato. Inoltre il corpo del giradischi, inteso come pick-up, ha grossissime potenzialità come strumento a sé come nel caso della musica elettroacustica e di quella rumorista. Nel workshop i partecipanti verranno introdotti a questo mondo, saranno guidati ed aiutati a sviluppare un proprio linguaggio musicale e a comunicare tra loro in un ensemble, attingendo a varie tecniche compositive e metodi della libera improvvisazione. La conduzione musicale con gesti, segni e parole o per mezzo di partiture grafiche e tematiche (per es. suonare i “silenzi” dei vinili, usare solo dischi con percussioni, ecc.) saranno alcune possibili applicazioni che verranno esplorate.

A partire da una matrice comune, percorsi musicali diversi: Arnaud Rivière, Ignaz Schick, DJ Sniff, Økapi. Cosa li accomuna e cosa li differenzia?

Li accomuna il giradischi inteso come strumento musicale. Li differenzia il loro background, il loro approccio con lo strumento e il loro linguaggio.

Al di fuori dal lavoro e dalla ricerca, nella vita quotidiana che significato ha per te la musica? Cosa ascolti e come?

La musica è una navigazione infinita, uno strumento di incontro e conoscenza. In questo senso mi riesce difficile distinguerne zone ricreative da quelle lavorative e di ricerca. Trovo che la musica come espressione di individualità e collettività sia una delle cose che riesce meglio all’ homo sapiens; le sue qualità astratte, ma anche fisiche, e le sue capacità comunicative relativamente universali, ne fanno un meraviglioso giardino per giocare. Per cui ascolto molta musica e di varia provenienza. Come esistono tante musiche credo che esistano tanti modi per ascoltarla. Musica è anche un processo di continui assestamenti e modifiche di cui le registrazioni e i dischi sono solo una delle possibili testimonianze. Approssimazioni, tentativi di riproduzione, ma anche idealizzazioni. Credo che ascoltare la musica dal vivo sia il miglior modo per coglierla, anche per decifrare linguaggi che possono sembrare più difficili o “chiusi”ad un primo impatto dal solo supporto fonografico. A confermare la difficoltà di soffermarmi su un’unico genere o nicchia in questi giorni non riesco a non ascoltare “Instant Vintage” un album di nuovo soul del 2001 del produttore, polistrumentista e cantante Raphael Saadiq. E “Mercato Centrale”, una copia promozionale del nuovo album del Jealousy Party, uno dei gruppi del collettivo Burp Enterprise (www.burpenterprise.com) con cui collaboro (col duo Semerssuaq e il collettivo di dj Sistemi Audiofobici Burp). Una sintesi speciale di musica improvvisata, funk elettronico, error music, rumore e rock ‘n’ roll in forma libera. Un ascolto formidabile che consiglio. Il disco uscirà in questo autunno.

A Bolzano, come penso saprai, ci sono diversi problemi legati alla musica dal vivo: ordinanza anti-rumore, mancanza di spazi, ecc. Vivendo a Berlino, come leggi questa situazione?

E’ una questione che riguarda molte città, legata a scelte politiche e culturali, ma anche ad una sensibilità che va costruita insieme agli abitanti per creare un dialogo tra le diverse generazioni trovando un equilibrio tra le singole esigenze ed aspettative sul vivere la città. Anche Berlino sta cambiando in questo senso. Col processo di gentrificazione attualmente in atto molte aree, dove prima si poteva suonare ad un volume sostenuto, sono costretti a trovare dei compromessi col vicinato. O meglio col nuovo vicinato, dato che, come effetto della gentrificazione, gli abitanti che per anni hanno risieduto in determinati quartieri sono costretti per l’aumento dei costi della vita a sradicarsi e a cambiare quartiere. Diversi anni fa avevo avuto modo di suonare a Venezia ad una manifestazione parallela alla Biennale, dove numerosi dj erano stati invitati a suonare contemporaneamente. Essendo lo spazio all’aperto, l’ascolto sia per i dj che per il pubblico era in cuffia. I suoni venivano trasmessi via radio, ad ogni dj era stato assegnato un canale e il pubblico poteva selezionare il canale che preferiva. Tutti ballavano a ritmi diversi indossando le cuffie e dall’esterno non si percepiva nulla sul piano sonoro. Questa chiaramente non è una soluzione, è una azione. Una provocazione che in maniera ludica solleva il problema.

More info: www.transart.it

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