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August 15, 2011

People I Know. Gloria Scarano e i segreti del ‘code-switching’

Anna Quinz

Visto il periodo di esodi estivi, di vacanze sotto l’ombrellone e di relax sui monti, questa intervista la faccio per telefono. Lei, Gloria Scarano è sotto l’ombrellone. Io in relax sui monti. In sottofondo sento le voci della spiaggia, il suono della pallina che rimbalza sui racchettoni, le voci dei bambini, il vento che si infrange sul mare, e forse, in lontananza anche un “cocco bello!”. Ma la voce di Gloria è squillante e decisa, oltrepassa il muro di voci e di suoni, e mi arriva precisa, come non ci fosse tra noi una serie di montagne, un mare, qualche fiume e una pianura. Gloria Scarano è come la sua voce: squillante e decisa. 31enne bolzanina, da anni in perpetuo movimento per il mondo, da qualche anno divisa tra Torino (dove ha deciso di vivere) e la Svizzera (dove lavora, assistente in linguistica italiana all’Università di Berna), sempre su un treno, sempre sorridente, sempre piena di quella vitalità e di quella parlantina che riempiono tutti gli spazi, anche quelli telefonici. Perché per lei quello che conta di più nella vita è la comunicazione. In senso stretto, e in senso lato. È molti anni che conosco Gloria, e so bene che l’instancabile bisogno di comunicare, dialogare, condividere con le persone, l’ha sempre caratterizzata. Parla molto, ma perché ha molto da dire; ascolta molto, perché ha molto da conoscere; la curiosità la muove, in ogni gesto e in ogni spostamento, ma non è irrequietezza, è voglia di scoprire, è voglia di andare sempre in angoli nuovi, per avvicinarsi sempre un po’ di più, agli altri e alle cose. Gloria lavora con la lingua, ma viene dal mondo della comunicazione. Tutto torna. Lei è una che fa quello che è. Ed è anche altoatesina, anche se in Alto Adige non vive più da anni. Ma le origini restano addosso, e a volte possono essere un trampolino per il proprio futuro. La sua tesi di laurea “Dialetti in rete: il caso dell’Alto Adige-Südtirol” le è valsa premi prestigiosi, pubblicazioni e la possibilità di fare, oggi, il lavoro che fa. E le ha permesso, anche, di capire un po’ meglio la sua terra, piena di lingue diverse, e di persone diverse, che nonostante le troppe banalizzazioni, vivono ogni giorno correndo tra un idioma e l’altro, inventando linguaggi nuovi, non per mancanza di orgoglio, ma per il desiderio, forse involontario, di aggiungere e inventare un modo proprio di esprimere sé, chi si è e da dove si arriva.

Partiamo da qui. Quali gli aspetti interessanti del suo studio sul dialetto altoatesino?

Innanzitutto era un terreno vergine, tutto da esplorare. Era, per una studentessa di linguistica e di comunicazione, un tema appassionante, in particolare per me che, bolzanina di madrelingua italiana, nell’ascolto di quel dialetto, sono cresciuta. Ho avuto la possibilità di analizzare una realtà che conosco bene, non in modo politico o ideologico, ma scientifico, e ho capito che viviamo in una realtà linguisticamente unica. Da noi è normale quella pratica che in linguistica si chiama “code-switching”. Ossia, il passare agilmente, all’interno di una stessa frase, da una lingua all’altra, creando così un linguaggio alla fine tutto nuovo e particolarissimo, un mix inatteso di italiano e tedesco. Forse non ne siamo sempre consapevoli, ma è una forma di ricchezza impagabile. A cui ognuno può dare il suo originale contributo!

Nelle sue ricerche ha utilizzato come strumenti di analisi scientifica i nuovi mezzi di comunicazione. Ad esempio gli sms o i forum nel web. È una cosa apparentemente singolare…

Si è vero, ma era il modo migliore per capire e analizzare i linguaggi più nuovi, più veloci, quelli che per gli altoatesini sono la norma, ma che poi, quando ho portato i miei studi altrove, hanno stimolato domande e curiosità. Di base questo tipo di commutazione avviene nella lingua parlata, ma i nuovi media hanno permesso di sviluppare questa “lingua nuova” anche nel linguaggio scritto, fissandola per sempre. E non è una cosa da poco. Le persone scrivono sms o nel web così come parlano, è normale, e quando si è immersi in un naturale plurilinguismo è scontato inventare parole ed espressioni che prima non esistevano.

Lei vive tra Torino e la Svizzera. Ma Bolzano, a cui in fondo deve molto, le manca mai?

Torino è una città che amo per il suo brulicare di persone, di idee, di stimoli. La Svizzera mi ha dato grosse opportunità di lavoro. Bolzano è casa, ma quel che mi manca sono soprattutto le persone, che non sono però legate a un luogo geografico, ma più a un luogo del cuore. Certo è che la vita scandita da ritmi regolari, che Bolzano nel suo essere piccola e ordinata può dare, un po’ mi manca: io vivo praticamente sui treni! E poi, pur lavorando nella multilingue Svizzera, mi accorgo sempre più del fascino dell’Alto Adige, crocevia di culture e di lingue: pane per i miei denti di linguista, insomma! Prima o poi, mi piacerebbe studiare anche il non-dialetto di noi “italiani” di Bolzano. Così, se da giovane “facevo blaun”, da grande potrei capire davvero cosa significa questa buffa espressione!

pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 14 agosto 2011

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