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July 7, 2011

Lungomare e le Azioni Simboliche per il nostro presente

Anna Quinz

lungomare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli artisti, si sa, non sono facili. Ma nemmeno gli architetti. E i designer. Individualità forti, creatività soggettive, personalità invadenti. Metterli d’accordo sembra complicato, farli lavorare insieme a un progetto unico, ancor di più. Bravi dunque i curatori del progetto “Azioni simboliche per il nostro presente”, Angelika Burtscher e Daniele Lupo (Lungomare) che sono riusciti nella non facile impresa. Tutto è nato da due parole. Difficili e semplicissime insieme: “monumento” è la prima, “convivenza” la seconda. Cos’è oggi un monumento? Serve ancora nella contemporanea società? E la convivenza, è un’utopia, soprattutto da queste parti o un obiettivo possibile? Da queste domande sono partiti i sette ospiti, artisti, architetti e designer appunto, e i due curatori, per mettere in atto, poi un’azione simbolica, moderno monumento, forse, che sarà presentata domani a Lungomare. Il gruppo dei sette + due è così composto: Helmut Heiss, e Jacopo Candotti, artisti, Maja Malina, designer, Eva Mair e Katherina Putzer, architetti, Brave new alps, collettivo composto da Bianca Elzenbaumer e Fabio Franz, e poi Burtscher e Lupo.

Incontri, anche pubblici con esperti, discussioni, riflessioni, decine di mail, un blog che fa da incubatore di pensieri, ricerche, idee. Questa la strada scelta per procedere passo passo nella non facile prospettiva di sviscerare i due concetti centrali del progetto, e per giungere infine a un’idea unica, che mettesse tutti d’accordo, da presentare al pubblico, alla città di Bolzano, alla collettività.
Chiedo a tra dei protagonisti (Heiss, Mair, Putzer) se è stato difficile lavorare insieme, cosa che, insieme a molte altre, mi incuriosisce particolarmente di questo progetto. Mi rispondono che, no, non lo è stato, ma alla fine ci sono riusciti, e il progetto sarà presentato finalmente domani. Uno degli artisti però lungo la strada si è staccato dal gruppo, Candotti, perché non condivideva a pieno l’idea finale, per motivazioni non troppo sondabili, e ha preferito andare per la sua strada, con un progetto autonomo. Certo è che, parlando di convivenza, questa metodologia di lavoro collettivo, è un buon esempio. “siamo stati scelti dai curatori perché tutti nati qui in Alto Adige”, mi raccontano, “e anche se ora viviamo altrove, conosciamo direttamente e personalmente la realtà locale. Essendo però tutti geograficamente lontani, anche se spesso ci siamo incontrati qui, non è stato facile arrivare a un punto, a distanza. A questo scopo è stato utile il blog che abbiamo attivato, li si sono raccolte tante idee, su cui era poi possibile riflettere”.
Ma veniamo ai temi. Monumento, tema caldo a Bolzano, tema che in alcuni ambienti fa tremare. Perché qui, se di monumento si parla, si parla inevitabilmente del Monumento della Vittoria. “Siamo effettivamente partiti – anche – da li. È impossibile fare il contrario. Ma volevamo, riuscire a prenderlo solo come punto di partenza per le nostre ricerche e riflessioni, e riuscire poi ad aprire le prospettive in modo più ampio, ragionando sul concetto più generale di monumento. Non per paura di incorrere in polemiche inutili, solo perché il nostro obiettivo era diverso. Poi è difficile qui riflettere in modo onesto, con le persone, sul monumento di piazza Vittoria. Tutti hanno delle idee così fisse e radicate, che evolverle e portarle altrove, non per scopi politici, storici o linguistici, ma semplicemente per muovere il pensiero, non è decisamente facile”. E dunque, evolvendo il concetto di monumento in senso più ampio, riflettendo sulla convivenza e su temi limitrofi, ma prendendoli non nella prospettiva piccola e localistica, ma anzi “senza nazione”, come sottolinea Heiss, il gruppo è arrivato a un’idea davvero molto concreta, seppur carica, come vuole il titolo stesso del progetto, di valore simbolico. Gli otto (i sei ospiti, orfani di Candotti e i due curatori) hanno infatti acquistato un terreno a Bolzano, e ora stanno sviscerando la legge italiana, guidati da avvocati e notai, per far sì che questo terreno cittadino diventi non più loro proprietà, ma proprietà di tutti. “in Alto Adige il concetto di proprietà terriera è molto importante e sentito”, mi dicono i tre, “è anzi un elemento centrale della società e dell’economia locale. Noi volevamo ribaltare questo concetto, acquistando a nostre spese una terra che potesse però perdere la sua identità di proprietà privata, per diventare proprietà pubblica.” Chiedo se l’idea poi prevede un utilizzo specifico del terreno, se vi ergeranno un contemporaneo monumento. “no, l’idea è di segnalare la provenienza e la destinazione di questo vacuum nello spazio urbano, ma non vorremmo costruirvi nulla, ciò che ci interessa è riuscire a sgravare questa terra dalla sua proprietà, per dimostrare simbolicamente che il modo migliore per creare una concreta convivenza, serve liberarsi da idee fisse, dalle paure, dai concetti di appartenenza, di possesso…”. La legge, evidentemente non aiuta, tra comune, demanio e tanti altri processi burocratici, non sarà facile “donare” alla città questo “Jederland”, che non deve assomigliare agli spazi pubblici che conosciamo, che di fatto sono comunque di proprietà comunale. “Jederland, deve essere altro, deve essere un luogo non mio, non tuo, ma di tutti. Questa condivisione dovrebbe essere sinonimo di convivenza, secondo noi. Ma il sistema, per ora, non lo permette. Ma stiamo tentando tutte le strade possibili. Questo prevede anche delle responsabilità da parte nostra, ma la sfida è simbolicamente, ma non solo, importante.”
Domani sera dunque il terreno, che è un po’ anche mio e di tutti quelli che lo vorranno, sarà presentato al pubblico, e il gruppo racconterà come, cosa, dove e quando “Jederland” diventerà angolo urbano simbolicamente investito di significati importanti. Moderno monumento non edificato e lasciato solo al pensiero, luogo possibile della condivisione di intenti. Forse chi passerà di là, il giorno in cui Jederland sarà uno spazio concreto, nemmeno si accorgerà della sua esistenza, ma forse, questa potrebbe essere una contemporanea missione del contemporaneo monumento: passarci accanto senza notarlo, senza far riemergere vecchie dispute e rigide posizioni, viverlo come spazio solo e semplicemente esistente, tutto qui. A quel punto, se a Bolzano riusciremo a farlo, forse la convivenza – quella vera – smetterà di essere utopia, e anche ad essa potremo passare accanto senza notarla, perché solo e semplicemente esistente.

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