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June 16, 2011

Tremila progetti per 82 edifici “Servono più concorsi”

Barbara Breda

Un approfondimento sui concorsi di progettazione per la realizzazione di edifici pubblici. Pubblichiamo di seguito l’editoriale di Carlo Calderan, apparso sull’ultimo numero di Turris Babel.

In Alto Adige, negli ultimi 10 anni, tra il 2001 e il 2010, per scegliere come realizzare 82 edifici è stato necessario redarre 3049 progetti, impegnando non meno di mezzo milione di ore di lavoro per un controvalore economico quantificabile in circa 35 milioni di euro a fronte di onorari che probabilmente non raggiungono neppure questa cifra, anzi sono sicuramente inferiori se teniamo conto che di questi 82 concorsi 24 non si sono conclusi con la costruzione del progetto vincitore. Considerando poi ciò che un concorso costa ad un committente, per la stesura del bando, i premi da assegnare, il gettone con cui retribuire i giurati, calcolando un costo medio di 100.000 euro, arriviamo ad un importo complessivo di non più di 8 milioni di euro; significa cioè che per scegliere la soluzione ottimale capace di soddisfare le proprie esigenze un committente che spenda 1 euro ne riceverà di ritorno almeno 3 in prestazioni.
Un investimento davvero vantaggioso tanto che varrebbe la pena di domandarsi perché in realtà solo 82 edifici siano stati realizzati a partire da un concorso di progettazione e come mai i committenti, per i migliaia di edifici che sono stati costruiti nell’ultimo decennio, non abbiano approfittato dello straordinario sconto che la nostra categoria applica per la fornitura di questo servizio (direi circa il 90% confrontando solo i premi alla nostra mole di lavoro) e abbiano invece preferito non avere alternative tra cui scegliere e comprato a scatola chiusa, una casa, un capannone, un ponte, un negozio, un piano di lottizzazione, una pista ciclabile, un ufficio. Con queste cifre, se il metro di giudizio fosse solo quello del mercato, “l’impresa” architettura sembrerebbe destinata ad un’inevitabile fallimento. Eppure continuiamo imperterriti a parteciparvi, in 160 addirittura al recente concorso bandito per realizzare un nuovo palazzo provinciale. Nessun’altra professione o pratica artistica sottopone se stessa a questo sfiancante e, da un punto di vista economico, apparentemente insensato allenamento, ma sono sicuro che se chiedessimo agli architetti un giudizio rispetto alla pratica concorsuale la maggior parte di loro sosterrebbe la necessità di estenderne l’impiego. Gli architetti applicano volontariamente a se stessi una selezione quasi darwiniana. Partecipando ad un concorso accettano di rimettersi continuamente in gioco; qui non valgono rendite di posizione, ne scatti di anzianità, è solo il valore del progetto ad essere valutato, nessuna capacità è presupposta in base ad un curriculum, ma questa deve essere ogni volta dimostrata di nuovo.

L’opinione pubblica non si accorge credo del valore di questo potente meccanismo autogenerativo che consente, attraverso un consapevole spreco di risorse (da parte degli architetti), di evitare soluzioni scontate, dettate solo dalla pigrizia mentale o dalla convenienza, per cercare con oculatezza come costruire l’ambiente più idoneo alla nostra società in trasformazione. La situazione è anzi paradossale: sono gli architetti, sui quali grava la parte più rilevante del loro costo, a reclamare nuovi concorsi di progettazione, mentre le amministrazioni pubbliche pur sostenendone l’impiego (in Alto Adige certo più che altrove e l’amministrazione provinciale con più convinzione di quelle comunali), sembrano concederli controvoglia, quasi si trattasse solo di un costoso gioco per architetti. Eppure quanto valga l’investimento dei committenti nella scrittura del bando di concorso e nel suo svolgimento, per la definizione di un preciso programma funzionale e per la scelta della migliore soluzione architettonica, è facilmente misurabile confrontando il desolante stato delle opere pubbliche nel resto d’Italia con quello altoatesino. Uno scarto provocato, più che dalle maggiori disponibilità economiche della nostra provincia (reali, ma non da usare come un alibi, poiché esse danno ragione solo del numero e non della qualità delle opere realizzate), da un ricorso abnorme agli appalti concorso, al project financing, agli affidamenti diretti per “chiara fama”, alla gare per prestazioni di servizi. Tutti strumenti con i quali di fatto il committente rinuncia a decidere ciò che vuole costruire delegando la scelta alla sola valutazione del prezzo, al gusto di un finanziatore, alla speranza che un architetto di successo possa produrre sempre architetture di valore o, come nel caso delle gare per prestazioni di servizi, cercando al più di captare tra le parole delle relazioni tecniche richieste la sagoma di un edificio reale.

Metodi di scelta che sembrano farsi strada anche in Alto Adige: che ad esempio per un edificio importante come la nuova scuola materna del quartiere Casanova a Bolzano l’amministrazione comunale abbia scelto la strada della gara per prestazioni di servizi, è un segnale preoccupante. Il campo di applicazione dei concorsi di progettazione andrebbe invece non solo difeso ma allargato a comprendere ogni tipo di manufatto che investa il nostro territorio e va riconosciuto all’amministrazione provinciale di essersi mossa nell’ultimo decennio in questo senso bandendo i primi concorsi per opere infrastrutturali. Troppo pochi e non sempre organizzati con rigore sono invece ancora i concorsi banditi da imprenditori privati, eppure ciò che essi costruiscono riguarda tutti noi non solo perché capannoni, alberghi, condomini sono visibili da chiunque ma anche perché la costruzione di una zona turistica o di un insediamento produttivo va contrattata con la società perché consuma e modifica beni che appartengono a tutti: il suolo e il paesaggio. Il ricorso al concorso di progettazione per questi interventi dovrebbe, se non essere il presupposto perché essi si possano realizzare, almeno venire incentivato dalle amministrazioni pubbliche concedendo ad esempio incrementi di cubatura o sostenendone in parte i costi.

Il concorso non è comunque un metodo di selezione infallibile; la percentuale di quelli che ad esempio non si sono conclusi con una effettiva realizzazione è, anche da noi, troppo alta: per errori nella definizione dell’incarico progettuale, a causa di un eccesso di azzardo finanziario da parte della committenza o perché la giuria ha scelto il progetto sbagliato. Né si può dire che sia sempre il progetto più innovativo ad essere premiato, alla pratica concorsuale è connaturata una certa “inerzia”, un certo ritardo a recepire mode e novità salvo poi, una volta accettate, sposarle con tenacia; ma questi sono i difetti dei concorsi da almeno 500 anni.

Dei 3049 progetti di concorso ne pubblichiamo di seguito una selezione di quelli più recenti curata dal gruppo concorsi dell’Ordine degli Architetti di Bolzano alla quale seguirà un secondo numero dedicato al controverso tema dei concorsi privati. La pubblicazione almeno in parte di questo enorme lavoro che sarebbe altrimenti destinato ad essere conosciuto solo ai partecipanti è da sempre uno dei compiti che turrisbabel si è dato, sicuri che qui, in questo sforzo collettivo di ricerca e sperimentazione, si formi la nostra cultura architettonica di domani.

Carlo Calderan

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