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May 30, 2011

Concorso per il Landhaus. Libertà solo apparente

Barbara Breda

395 iscrizioni. 173 progetti consegnati. 168 progetti ammessi.
87 i progetti esclusi nel primo giro di valutazione per motivazioni legate a interpretazione del tema di progetto, inserimento urbanistico e impianto funzionale.
58 quelli scartati nel secondo giro considerando nel complesso aspetti urbanistici, architettonici e funzionali.
1 progetto reinserito nella valutazione in seguito al riesame di quelli esclusi.
17 scartati al terzo giro.
8 ricompensati rispettivamente con primo, secondo, terzo premio, e 5 segnalazioni.
19 le ore complessive per esaminare i 168 progetti in esame.
Sono dati interessanti e curiosi, quelli relativi al concorso del nuovo palazzo provinciale per la Ripartizione del Personale di Bolzano. Interessanti per l’alto richiamo anche extraregionale dovuto al fatto di essere uno dei pochi concorsi aperti indetti nella nostra provincia, in contrasto con l’ormai triste e diffusa pratica di bandirli tramite preselezione o invito. Curioso, e per gli architetti partecipanti forse anche un po’ frustrante, per il notevole scarto tra il numero di progetti esaminati -e di conseguenza il tempo che è stato necessario per idearli e realizzarli-, e il numero di ore impiegato dalla giuria per valutarli. Una differenza davvero significativa se si considera che tutto il lavoro presentato per il concorso dai 168 studi di architettura, ad eccezione di quello vincitore, dopo la mostra che avrà luogo nei bellissimi spazi della Scuola professionale per l’artigianato e l’industria in via Roma fino al 2 giugno, finirà con grande probabilità negli archivi per non uscirne più.

Un concorso di architettura che si è dimostrato per i molti progettisti singolare e stimolante, sia per la localizzazione del lotto, assolutamente centrale e pressoché di fronte al grande areale ferroviario oggetto di futura e radicale trasformazione urbana, sia per la possibilità di progettare un’opera in una zona per attrezzature collettive sovracomunali, e quindi con la possibilità di andare in deroga alle norme di attuazione del piano regolatore.

E’ stato comunque imposto un limite di cubatura, fissato complessivamente -tra interrata e fuori terra- a 22.450 mc, così come il rispetto delle distanze minime del codice civile. Considerato poi che l’area di progetto -situata all’inizio di via Renon poco distante dalla stazione dei treni- è attualmente occupata da un edificio di proprietà della provincia da demolire perché ritenuto inadatto per motivi funzionali, il bando prevedeva anche che la nuova costruzione ne mantenesse lo stesso allineamento sul fronte strada. L’aspetto importante su cui poter andare in deroga rispetto a quanto previsto dal puc era quindi l’altezza, e questo per i progettisti ha significato, dato che i metri cubi erano un dato fisso, poter giocare con le diverse combinazioni tra la superficie e l’altezza stessa. Ossia, per banalizzare ma anche per chiarire il concetto, minore era l’area in pianta occupata dall’edificio e più gli era permesso di slanciarsi verso alto, paradossalmente senza limite alcuno. O, in alternativa, era possibile cercare di allinearsi ai profili altimetrici degli edifici adiacenti, sfruttando tutta la superficie a disposizione. Tuttavia questa opzione era totalmente inconciliabile con le richieste del programma funzionale del bando di concorso, che prevedevano un tale numero di spazi per uffici e locali accessori, da costringere i progettisti a doversi alzare di diversi metri oltre alla linea di gronda delle costruzioni vicine. E’ proprio nella mostra che si può osservare la grande varietà di soluzioni proposte, da quelle più snelle e svettanti verso l’alto, a quelle più tozze, che hanno puntato a ridurre il più possibile l’altezza pur senza dialogare davvero con il contesto circostante. Si dia il caso che quasi tutti i progetti premiati rientrino però in quest’ultima categoria. Viene da chiedersi allora il senso di una simile scelta da parte dell’ente banditore, tanto per la localizzazione dell’area in rapporto alle esigenze spaziali del nuovo edificio, quanto per l’apparente libertà concessa agli architetti in fase di progettazione, ma subito tolta nel momento della decisione della giuria.

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