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March 3, 2011

Candoco rivela le diverse abilità del corpo danzante

Anna Quinz

Il corpo del danzatore è per definizione un corpo diversamente abile.
Il corpo delle donne e degli uomini del quotidiano, è il corpo della spesa, delle ore seduti al computer, della carrozzina da spingere, delle passeggiate domenicali nel parco. Questo è il corpo normalmente abile. Il corpo danzante invece è un corpo abile innanzitutto, ma in modo diverso dalla spesa, il computer, la carrozzina e la passeggiata domenicale.

È un corpo portato alle sue estremità fisiche, modificato ed elaborato dal lavoro quotidiano, un corpo che fa cose che noi donne e uomini “normali” non possiamo ne sappiamo fare. È per questo che guardando comodamente in poltrona il trittico Renditions della Candoco Dance Company, non ci si accorge che parte dei danzatori sono diversamente abili. Perché ognuno dei 7 performer sul palco, ha una sua diversa abilità, e dunque un braccio di plastica è tanto espressivo quanto uno di carne, ossa, muscoli e pelle, e la diversità è data, semplicemente, dalle diverse personalità di ognuno. Come per qualunque performance e qualunque performer.
Il primo episodio ironizza in modo assolutamente gustoso, sulla durezza e sul puntiglio della disciplina classica della danza. Utilizzandone e riprendendone stilemi e linguaggi, scarnificati e portati all’osso da una semplicità di gesto che sconfina nell’imprecisione, perfettamente cercata e consapevole, sottolinea con grazie e smonta con sagacia i meccanismi quasi maniacali della ricerca ossessiva della perfezione del movimento che ogni danzatore classico si impone nel suo lavoro quotidiano. Un divertente esercizio di stile, nel senso più letterale dell’espressione, che vede i performers in semplice costume “da prova” impegnati in una ripetizione di gesti enfatizzati talvolta da un uso teatralizzato, quasi circense e portato alle estreme conseguenze del linguaggio del balletto.

Il secondo episodio invece, è un piccolo viaggio nel gesto più contemporaneo, accompagnato da un sempre emozionante Bach. Abiti quotidiani, gesti semplici, stile coreografico pulito ed essenziale, senza grandi sorprese ne guizzi creativi, ma che mette in evidenza la forza tecnica dei bravissimi danzatori.

Il terzo ed ultimo brano, alleggerisce – ma con intelligenza assoluta – il tono della serata portando lo spettatore in una spassosa tempesta shakespeariana, in cui recitazione e danza si incrociano ed incastrano efficacemente. I performer raccontano al pubblico i processi creativi che li hanno guidati nella creazione del pezzo, il modo in cui hanno deciso di interpretare e mettere in scena questa tempesta, e oltre a raccontare, puntando il tutto e per tutto sull’ironia, ce la fanno anche vedere e vivere, attraverso il movimento sul palco. Si costruisce così un momento di teatro nel teatro e di danza nella danza, che convince, perché diverte, ma con delicatezza, e perché svela alcuni processi della creazione teatrale e coreografica, che sempre affascinano lo spettatore che sta in poltrona e che per una volta ha come l’impressione di essere un vero interlocutore della compagnia, che lo coinvolge nel lavoro giornaliero di creazione della propria opera d’arte.

Tre storie diverse, tre linguaggi coreografici diversi, sette corpi diversi, sette personalità diverse, per uno spettacolo uniforme e godibile che alla fin fine ci rivela quel che spesso pensando alla danza dimentichiamo: che la danza è una forma espressiva poliforme che disegna ipergesti e ipercorpi, diversamente abili.

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