Music

September 27, 2018

Ciliegie: parole d’autore con Michele Giro

Mauro Sperandio
Parole, immagini, sensazioni si susseguono le une dopo le altre. Artista chiama artista, come ciliegia segue a ciliegia.

Michele Giro è psicologo, pianista classico e jazz, tutte e tre le cose con passione e dedizione. Non c’è in lui disturbo di personalità multipla, ma armoniosa commistione, che sposa ricerca, contatto umano e creazione.

La prima domanda te la pone Christoph, che mi ha suggerito di intervistarti:

Perché all’epoca hai deciso di seguire la strada del jazz e non quella della musica classica, come la tua formazione avrebbe indicato?

In verità la mia formazione è stata fin da principio a due strade, classica e jazz.
Ho iniziato lo studio del pianoforte classico con la professoressa Mohovich, prima privatamente e poi, sempre sotto la sua guida, al Conservatorio “Monteverdi” di Bolzano. Il contatto con il mondo del jazz risale ai tempi delle scuole medie, quando  il caro dottor Brogher, noto ortopedico e amico di famiglia, al termine degli Hauskonzerte organizzati dai miei genitori ci allettava con brani ed improvvisazioni jazz impregnate di coinvolgente swing. Altra fonte di ispirazione jazzistica fu rappresentata dal vinile del celeberrimo “Köln Konzert” di Keith Jarrett, che ricevetti in regalo da una zia per i miei 14 anni. Rimasi folgorato da questo disco e lo ascoltai infinite volte, cercando di trascriverlo e di risuonarlo al pianoforte. A proposito di incisioni, non posso dimenticare le compilation in musicassette che ricevevo dal prof. Pichler (padre di Christoph Pichler): raffinate e sapienti selezioni di brani jazz, in grado di suscitare al meglio il mio interesse e accrescere la mia curiosità per quella musica. Coltivavo il mio interesse per il jazz studiandolo e suonandolo, ma allo stesso tempo proseguivo i miei studi classici, tanto da diplomarmi al conservatorio di Bolzano e perfezionarmi poi al Mozarteum di Salisburgo (città in cui mi sono anche laureato in psicologia).
È sicuramente vero che negli ultimi anni ho dedicato molto più tempo al jazz (con il trio Jazz Fantasy, il Giro Trio e collaborazioni con vari musicisti e gruppi locali jazz) che non alla musica classica, tuttavia non ho mai abbandonato la mia genuina formazione classica, come dimostrano varie collaborazioni con musicisti e compositori classici (come, ad esempio, L. Sticcotti, E. Demetz, A. Jellici )
Quindi, summa summarum, la risposta alla domanda di Christoph Pichler potrebbe essere sintetizzata così: sì, ho seguito maggiormente la strada del jazz, ma non ho nemmeno mai abbandonato quella classica.

Parliamo ancora di strade. Quali sono le “vie della musica” che eviti accuratamente?

Nel corso degli ultimi anni ho via via abbandonato il mio pregresso atteggiamento da duro “purista”, diventando più aperto anche verso altri stili musicali. Tuttavia continuo ad evitare attivamente determinati generi musicali, come ad esempio il metal, la techno, l’hard core ecc. Di altri generi che evito nemmeno conosco il nome, visto che cambio immediatamente stazione radio o riduco fulmineamente il volume a zero.
La capacità d’analisi che caratterizza l’attività di psicologo entra mai in gioco nello studio delle composizioni che ti trovi ad interpretare?
Nel mio caso credo sia avvenuto al contrario: è l’analisi delle strutture musicali e dell’armonia che ha influenzato il mio modo di analizzare psicologicamente i complessi “contrappunti” umani.
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Il “suonare assieme” è un esercizio di civiltà ed umanità, che richiede capacità d’ascolto e desiderio di sano confronto. Rispetto anche a ciò che succede nella nostra società, qual è lo stato di salute della “società suonante”?

La società mi appare sempre meno suonante e sempre più stonante.
Ho la sensazione che la volontà di suonare socialmente assieme vada sempre più diminuendo; inoltre mi sembra che, le rare volte in cui si decida di “suonare socialmente assieme”, non venga utilizzato uno spartito comune, condiviso. Percepisco sempre più catatonia e sempre meno armonia.
Senza peccare di scarso romanticismo, si può dire che ogni scrittura musicale abbia un’utilità ed una funzione/effetto. Potresti citarmi qualche brano che impieghi intenzionalmente per “curare” il tuo umore?
Ho due strategie per curare il mio umore. Una sta nell’utilizzo di brani musicali opposti allo stato d’animo “negativo”, in tal caso ascolto, tra i vari, brani degli Earth Wind and Fire, brani della disco music anni 80-90 oppure dei Yellowjackets e di Egberto Gismonti. L’altra strategia è invece quella di utilizzare brani che rispecchiano il mio stato d’animo “negativo”, in tal caso ascolto brani di Ralph Towner, John Taylor (pianista inglese, non il bassista dei Duran Duran, haha!), Esbjörn Svensson Trio, Wasilewski Trio o Gustavsen.

Quale artista mi consiglieresti di intervistare?

Consiglierei di intervistare l’artista Luca Sticcotti.

Cosa gli chiederesti?

Come e quando hai scoperto il tuo talento per l’acquarello ?

Foto: ©Franco Silvestri

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