Culture + Arts

June 7, 2018

Libro: Anna Zinelli e la “prospettiva documenta”

Mauro Sperandio
Sabato 9 giugno, alle ore 11, al Kunst Merano Arte la presentazione del libro "1955-1968 : gli artisti italiani alle documenta di Kassel".

Anna Zinelli, assistente alla direzione di Kunst Merano Arte, porta alle stampe un interessante saggio sulle prime quattro edizione di dOCUMENTA, la prestigiosa rassegna artistica che si svolge a Kassel.

Il tema e la prospettiva che 1955-1968 : gli artisti italiani alle documenta di Kassel svela offre interessanti spunti di riflessione sull’arte italiana del dopoguerra e sull’impatto che lo “stile documenta” ha avuto, e ancora ha, sull’attività espositiva e curatoriale.

Ne parliamo con Anna:

Cosa rende di particolare interesse queste prime quattro edizione di
documenta da te trattate?

Per comprendere un’esposizione come documenta, anche nelle sue più recenti declinazioni, risulta particolarmente importante ripercorrerne le origini e considerare le motivazioni sottese alla nascita dell’esposizione e al suo rapido imporsi nell’arco dei due decenni presi in esame, facendo di una piccola città come Kassel uno dei centri dell’arte contemporanea.
Ho scelto quindi di considerare le prime quattro edizioni – quelle degli anni ’50 e ’60 e in particolare quelle dirette da Arnold Bode, il “padre” di documenta –, anziché altre più note e ampiamente studiate come la celebre documenta 5 del 1972, per sottolineare l’importanza che esse hanno assunto nella ridefinizione del sistema espositivo che si verifica in questi anni.

Nel secondo capitolo del tuo libro si pone l’interessante questione che riguarda le distinzioni tra le varie “arti nazionali”. Quali sono la storia e il destino di questo approccio?

Mentre nel primo capitolo propongo una riesamina storica di documenta, nel secondo considero appunto le partecipazioni italiane. L’intento tuttavia non è quello di perpetuare una storiografia improntata su una divisione tra “arti nazionali”, aspetto che la documenta stessa – con la vocazione internazionalista che l’ha contraddistinta fin dalla prima edizione – ha sistematicamente rifiutato; mi interessava piuttosto considerare come la narrazione dell’arte italiana si è iscritta all’interno dei diversi progetti curatoriali, e quindi quali confronti sono stati instaurati su un piano allestitivo e di ricezione critica, quali letture sono state prese come riferimento e che modelli interpretativi sono stati assunti e codificati in relazione ad essa.   
Una storiografia artistica su basi nazionali è un retaggio ottocentesco frutto di una concezione essenzialmente eurocentrica; anche laddove persistono distinzioni nazionali in ambito espositivo – il caso più emblematico è indubbiamente la Biennale – esse tendono sempre di più ad essere messe in discussione, soprattutto a partire dall’apertura a nuove geografie che si è sviluppata in relazione al dibattito postcoloniale.
Il rifiuto di distinzioni nazionali a Kassel in anni in cui avevano un peso decisivo le politiche culturali della guerra fredda non deve tuttavia essere assunto in modo aproblematico: quando Werner Haftmann, in occasione della seconda documenta, parla dell’astrattismo come una “Weltsprache”, una lingua quindi che supera distinzioni di carattere nazionale, non manca di specificare anche a quale “mondo” si riferisce, definendo l’arte astratta come arte appunto del “mondo libero”, ossia come una risposta a quanto prodotto oltre cortina.

Quale considerazione nei confronti dell’arte italiana si può evincere dalle scelte curatoriali di documenta?

Le scelte curatoriali svolte negli anni presi in esame dai curatori di documenta, ed in particolare da Arnold Bode e da Werner Haftmann, ci restituiscono delle specifiche linee di lettura dell’arte italiana, che parallelamente ad altre manifestazioni – ad esempio alcune mostre al MoMA – avranno precise ricadute sul dibattito successivo e sui modelli di lettura di essa che si diffonderanno su un piano internazionale.
Nella terza parte del libro mi soffermo su alcuni casi specifici, ad esempio considero il futurismo in relazione al taglio retrospettivo che caratterizza soprattutto la prima edizione; le modalità di racconto del movimento emergono come strettamente correlate a quell’esigenza di recupero del modernismo precedentemente bandito in Germania, di cui la prima documenta si poneva come essenziale momento di riscoperta. Un altro caso che ho trovato di grande interesse è la differenza con cui si sviluppa il dibattito tra astrattismo e realismo del dopoguerra rispetto al contesto italiano, considerato in particolare a partire da un’analisi della presenza – costante – di Emilio Vedova e dell’esclusione di Guttuso (che sarà poi proposto nell’edizione del 1977); il fatto tuttavia che la presenza di Guttuso risulti invece nelle liste preparatorie della seconda edizione dimostra al contempo come non si possano però liquidare troppo sbrigativamente le documenta degli anni ‘50 come una semplice “vetrina” dell’astrattismo. Infine viene proposto il caso di Lucio Fontana: presentato in modo marginale e fortemente criticato in occasione della documenta del 1959, escluso dall’edizione del 1964 – ma oggetto di un omaggio da parte del Gruppo Zero (Heinz Mack, Otto Piene e Günther Uecker) – riproposto quindi nella documenta del 1968, assieme ad esponenti dell’arte cinetica, egli è assunto come specchio di una diversa tipologia di racconto dell’arte italiana – quella sostenuta in questi stessi anni in altri contesti espositivi, come ad esempio le mostre di Udo Kultmernann a Lerverkusen o la rassegna Nove Tendencije a Zagabria -  inizialmente osteggiata ma poi progressivamente accolta anche a Kassel.

Quali dettagli della storia dell’arte italiana svela la “prospettiva documenta”?

La “prospettiva documenta”, ossia l’assunzione di una prospettiva esterna al territorio in relazione all’arte italiana, apre un campo di indagine estremamente ricco di stimoli, capace mettere in luce indirizzi storiografici inediti anche su movimenti e artisti già ampiamente studiati.
In un sistema come quello dell’arte contemporanea in cui le prospettive “nazionali”, laddove rigidamente chiuse, non possono che risultare sempre più come delle coercizioni o dei costrutti, considerare l’Italia a partire da una lettura esterna riflette l’assunto che concetti quali identità o nazione non possano essere cristallizzati ma si prestino ad essere considerati quali strutture in costante rapporto con l’alterità, ridefinite dagli scambi con essa.

Anna Zinelli, 1955-1968 : gli artisti italiani alle documenta di Kassel, Mimesis, Collana Le parole dell’arte, Milano 2017.

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