Music

April 27, 2018

Gianni Coscia: quando gli alieni suonano la fisarmonica

Mauro Sperandio
Gianni Coscia, tra i padri nobili del jazz italiano, si esibirà in duo con Gianluigi Trovesi il 1 maggio al Kultur.Lana, nell'ambito del festival musicale Lana ME

Gianni Coscia è un maestro europeo della fisarmonica, un jazzista dal talento riconosciuto ben oltre confine. Ma di quanto ho appena scritto, Coscia non condividerebbe praticamente nulla, anche se i fatti lo smentiscono.
Nato nel 1931, anche avvocato, vanta collaborazioni con personalità del calibro di Luciano Berio ed Enrico Rava, oltre ad un trentennale sodalizio accanto a Gianluigi Trovesi. Proprio questo duo si esibirà il 1 maggio al centro Kultur.Lana, nell’ambito di Lana Meets Jazz 2018. In attesa del concerto, ho l’onore e il piacere di incontrare Gianni Coscia per un’intervista. Ascoltarlo parlare, gustare le parole e le pause del suo discorso, sentirne gli aneddoti e l’ironia è un’esperienza letteraria e musicale allo stesso tempo.

Jazzista di grande fama ed anche avvocato, impegnato dunque con due professioni che non conoscono orari. Mi incuriosisce sapere che rapporto ha e ha avuto con l’ozio.

Cominciamo con il dire che non ho mai pensato di fare il musicista, per questo motivo ho preso seriamente un altro mestiere, cioè quello dell’avvocato. Quando mi chiamano maestro mi vengono infatti i brividi, anche perché sono un autodidatta nel vero senso della parola. Non ho mai studiato un metodo per fisarmonica, ma ho sempre fatto un lavoro di ricerca, come se stessi facendo le parole crociate. Quando avevo un po’ di tempo libero, studiavo le partiture degli altri e le orchestrazioni, cercando di imitare gli altri strumenti. Non pecco di falsa modestia se dico che la fisarmonica è stata per me sempre un passatempo. Tornato a casa dal lavoro, non mi sono mai sognato di mettermi a fare degli esercizi e tanto meno di studiare otto ore di fila come fanno tanti professionisti. Capisco la musica come quelli che capiscono la pittura perché fanno degli schizzi sulle salviette dei ristoranti.
Ginaluigi Trovesi- Gianni Coscia (foto diRoberto Masotti) ECM 2005

Il suo rapporto con la musica sembra piuttosto singolare.

Mi sento un alieno della musica, visto che essere chiamato fisarmonicista mi fa venire le pustole. Suono questo strumento perché lo aveva mi padre in casa e non ho mai e poi mai suonato un pezzo del repertorio fisarmonicistico. Anzi, a vent’anni ho imparato un pezzo di Pietro Deiro, che ho immediatamente dimenticato. Diciamo che l’unica particolarità che mi distingue è quella di essere fuori dagli schemi: al mondo della fisarmonica non appartengo; nel mondo del jazz ho avuto la fortuna di entrare in un periodo in cui, dopo il free jazz, non c’erano più regole e c’era spazio per tutti, anche se suonavi le launeddas o la cornamusa.

Quando ha deciso di dedicarsi solo alla musica?

Ho creato l’ufficio legale della banca dove ho lavorato per molti anni e l’ho lasciato quando nell’istituzione si sentiva troppo pesante la mano dei partiti. La mia intenzione era quella di fare l’avvocato libero professionista, ma ho cominciato a ricevere un sacco di richieste di suonare. Ancora oggi, a 87 anni, sono costretto a fare il musicista.

Il suo lavoro, come la collaborazione con Gianluigi Trovesi, ingloba con disinvoltura musica colta e popolare. Come definirebbe quest’ultimo genere?

La musica popolare è quella che apprezza e fischietta anche il garzone del panettiere quando, alle tre del mattino, esce con la bicicletta carica delle ceste del pane. Si tratta della musica che arriva a tutti, senza però che questo necessariamente implichi una bassa qualità della stessa. Io sarei per la “musica totale” senza etichette. Anche un concerto di Grieg o una pagina di Mozart possono essere popolari, anche Bach lo può essere, ma dipende dalla possibilità che la gente ha di ascoltare quella musica. Purtroppo nella storia della musica di tutti i generi, e anche di quello popolare, si formano di tanto in tanto dei “muri”. Prenda ad esempio i Beatles e il successo che ebbero con il loro primo disco. Fino ad allora ci si trovava come carbonari a casa dell’uno o dell’altro amico ad ascoltare musica, ma dopo i quattro di Liverpool il popolo è stato aggredito dalla musica. Questo fatto ha creato un “muro” che ha impedito a chi è nato dopo i Beatles di sapere cosa era successo prima di loro. Un tempo era popolare la lirica, pensi a quanti teatri nei piccoli paesi mettevano in scena le opere. Persino gli operai, una volta usciti dalle fabbriche, andavano a cantare alla corale.

Trovesi-Coscia 3 bn (foto diRoberto Masotti) ECM 2005

Potesse tornare indietro nel tempo, con quale approccio si dedicherebbe alla musica?

Mi dedicherei in modo “serio” alla composizione. Sicuramente non studierei tante ore ogni giorno per far parte di un’orchestra sinfonica.

La fisarmonica è a tutti gli effetti una piccola orchestra…

Sì, ma è penalizzata da una mentalità completamente fuori luogo, che la considera uno strumento “da corsa”. Ci sono addirittura i campionati del mondo di fisarmonica. I fisarmonicisti hanno una tendenza a primeggiare che non condivido. Quando qualcuno mi dice di aver assistito ad un concerto di un bravo strumentista, chiedo “Ti sei stupito o commosso?”. Se la risposta è la prima, non andrò a vederlo.

Il movimento delle braccia che aprono e chiudono il mantice è simile a quello dell’iconografia del Padre Eterno, che tra le braccia comprende il mondo/pubblico. Chissà se ciò ha una sua influenza caratteriale…

Il mantice è come l’arco del violino e del violoncello, è l’anima e il respiro. Spesso la sua tecnica è trascurata. Quando hanno introdotto l’uso dei pollici sono inorridito, perché questa novità era funzionale solo al virtuosismo. A me i pollici servono per controllare al meglio il mantice, per controllare l’anima.

Foto: © Roberto Masotti/ECM

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