Food

April 6, 2018

De gustibus Connection #82: Paolo Betti, Rifugio Maranza, Trento

Mauro Sperandio
De gustibus connection è una violazione della proprietà (intellettual-culinaria) altrui, un auto-invito a pranzo da chi sa cucinare davvero, un rapido interrogatorio senza la presenza di un legale, una perquisizione senza mandato tra mestoli e padelle. Oggi siamo sopra Trento, al Rifugio Maranza di Paolo Betti, chef illuminato da Santa Pazzia gastronomica.

Mauro Sp: So che, durante la stagione, lavori venti ore al giorno. Non sono di natura pigro, ma dammi qualche valida ragione per starsene tutte queste ore nella cucina del Rifugio Maranza

Paolo Betti: Mi piacerebbe lavorare meno ore, ma le cose sono due: o sono incapace io, o gli altri usano scatolette e quello che io chiamo “cibo di plastica”. Tuttavia, pensando a vari colleghi, se vuoi fare le cose in un certo modo, questi sono i tempi necessari. Sedici ore le passo in cucina e altre quattro le impiego per tutto ciò che mi compete come titolare. In cucina siamo in sei, non abbiamo un momento di sosta e siamo sempre in attesa di “sorprese”: ogni giorno, che sia per i funghi, le verdure o chissà che altro, arriva un contadino che ci propone nuove sfide.

M: Questo deve renderti un po’ complicata la formulazione dei menù…

P: Il menù è deciso di giorno in giorno e lo decidono i contadini, non io. Facciamo tutto in casa, inclusi gli insaccati, non produciamo noi solo i formaggi. Puoi capire come si faccia presto ad arrivare a venti ore di lavoro al giorno…

M: Ad una qualità indiscutibile, si affiancano dei prezzi decisamente onesti. Cosa ripaga, oltre il mero conto economico, tutta la tua fatica?

P: Vedere i clienti alzarsi da tavola contenti. Quando riesco a trasmettere emozioni con i miei piatti e anche con la loro spiegazione, sono soddisfatto.

M: Che rapporto hai con i tuoi fornitori?

P: Ogni settimana, solo per fare la spesa, faccio trecento chilometri in giro per il Trentino. Voglio conoscere di persona i miei fornitori, non solo con una telefonata, per sapere la storia e la passione che sta dietro ogni prodotto. Queste informazioni io le comunicherò ai miei clienti, invitandoli magari ad andare a recarsi direttamente dove io ho trovato gli ingredienti dei miei piatti. Allo stesso modo, in maniera coerente, spiego ai  produttori come trasformo ciò che compro da loro.

M: Da dove nasce questa sensibiltà per i prodotti e il ben mangiare?

P: Non saprei dirlo. A casa dei miei genitori non c’è mai stato il culto per la gastronomia. Mangiavamo piatti onesti della cucina contadina, ma nulla di particolare. Alla fine delle scuole medie ho detto a mio padre che avrei voluto fare il cuoco, forse perchè l’alberghiero era la scuola dove si studiava meno, ma lui cercò di dissuadermi dicendomi che era un lavoro faticoso. Vedendomi deciso, mi mandò a fare la stagione estiva da un suo amico che aveva un ristorante in Germania. Più che un ristoratore era un cane, che mi trattò malissimo e mi fece sgobbare come un mulo. Avevo solo tredici anni. Tornato a casa, mio padre mi disse “E allora?” e io risposi ancor più convinto “Io faccio il cuoco”. In Germania ho imparato come non avrei mai voluto lavorare. Poi, durante gli studi, tutti i fine settimana lavoravo in cucina, alimentando la mia passione. Finita la scuola ho cercato di fare esperienze in alberghi e ristoranti di un certo livello. La svolta me l’ha data l’incontro con Slow Food, con cui condividevo e condivido i principi, tanto da diventare responsabile dei cuochi dell’Alleanza del Trentino-Alto Adige. Filiera corta e stagionalità sono diventati criteri indiscutibili.

M: Tua figlia, sedicenne, ti segue in questa passione?

P: Sì, a differenza di mia moglie che ne ha le tasche piene della mia passione, mia figlia mi accompagna a mangiare fuori ed è interessata ai prodotti. Le faccio anche assaggiare qualche goccia di buon vino, così, quando va con gli amici alle feste, eviterà di attaccarsi al vino in cartone, perché le farà schifo.

M: L’entusiasmo che metti nel parlare di cucina è contagioso. Tra gli effetti di questo contagio c’è un vertiginoso aumento dell’appetito. Cosa mi proponi per star subito meglio?

P: Visto che sono in perenne lotta contro lo spreco del cibo, ti propongo un menù che intitolo “Pan vecio e polenta vanzada”. Cominciamo con un lombo di capriolo cotto sotto vuoto a bassa temperatura, con crudità di asparagi di Albeno e croccante di segala.

M: Delizie di primavera!

P: Continuiamo con i canederlotti alle erbette di primavera e formaggio Casolet, con fonduta di Puzzone di Moena e polvere di speck affumicato.

M: Questo “pan vecio” sta avendo un glorioso presente…

P: La polenta invece la usiamo per fare un fagottino ripieno di tarassaco e funghi marzuoli.

M: Ben fatto!

P: Chiudiamo con una torta di mais con le pere cotte nel Lagrein. Come vedi, nei piatti che ti ho proposto ci sono solo ingredienti di stagione, alcuni presidi Slow Food e dei prodotti dell’Arca del Gusto.

M: I colori, i profumi e i sapori dei tuoi piatti conquistano davvero. Il racconto che c’è in ogni piatto è davvero avvincente. Solitamente non rileggo lo stesso libro due volte, ma se fosse possibile, ricomincerei questo menù dalla prima pagina…

Foto: Paolo Betti

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.