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December 12, 2017

Dalila Rovazzani, storia di una animatrice giramondo

Claudia Gelati

Dalila Rovazzani (vimeo e behance), classe 1982, è una tipa molto in gamba. Ha capelli biondi, grandi occhi azzurri e una risata contagiosa. Se volessi usare una parola di oggi, direi che è “solare”, aggettivo che detesto perchè vuol dire tutto e niente. Che è … una lampadina? No di certo. E allora dico che è una persona che parla con passione ed entusiasmo del suo lavoro e le si illuminano gli occhi quando parla di animazione e affini; una cosa molto bella in un mondo di gente annoiata, che sopravvive anzichè vivere. E’ anche una vera e propria cittadina del mondo: si è formata tra l’Italia e Bruxelle, per poi lavorare in Inghilterra, Spagna … ed ora qua a Bolzano. Una che, come si suol dire, si è fatta un mazzo tanto; lavorando, tra le altre cose, anche per –attenzione, attenzione– Cartoon Network… mica la sagra del Tortello! L’ho incontrata due giovedì fa nel suo studio colorato e riscaldato dal tepore della stufa, in via dei Portici, proprio a due passi dalla franz-redazione. E no … non è una animatrice di un villaggio vacanze, se è quello che vi state chiedendo. Leggere per credere!

Chi è Dalila Rovazzani? Presentati un po’, va.
Eh, bella domanda (ride). Bella domanda, nel senso che alla fine definire quello che faccio professionalmente non è facilissimo sopratutto in Italia. Quando dico “sono un’animatrice”, subito seguono risate e l’immediata associazione con il villaggio turistico. Al che, mi sono abituata a precisare sempre, per contenere i danni: “lavoro nell’animazione -virgola- faccio i cartoni animati.”
E poi ci sono quelli che dopo che dicono: “a me allora fai fumetti” e allora lì è la fine (ride).
Che poi io faccio tante cose diverse, e persino mia mamma poi non ha ancora capito benissimo cosa faccio … (ride). A parte gli scherzi, un problema del genere in Inghilterra non lo avevo, dato che se lì dici “animator” quasi tutti, almeno tutte le persone della nostra generazione, capiscono subito che lavoro fai e non si aspettano che lavori per l’Alpitour.
In realtà anche per me non è facile definirmi. Lavoro principalmente nell’animazione e nel cinema d’animazione, però anche lì ricopro ruoli diversi; poi lavoro anche come illustratrice.
Anche se la mia formazione è principalmente quella di animatore, appunto.

Qual’è stata dunque la tua formazione?
Ho fatto l’accademie di Belle Arti di Bologna ad indirizzo pittura, perchè ai quei tempi non c’erano ancora quei “fancy-corsi” che ci sono oggi, altrimenti magari mi sarei indirizzata subito sull’illustrazione o sul fumetto, altra mia grande passione. Però qui ho avuto la fortuna di incontrare un professore che era appassionato di animazione che teneva un mini corso di animazione e quindi poi ho fatto già la tesi di laurea, nel 2006, sull’animazione.
Nel mentre ho fatto un anno di Erasmus a Bruxelles in una suola di animazione e qui sono venuta a conoscenza del corso del Centro Sperimentale di Cinema di Torino e ho deciso di provare ad entrare. Le selezione era molto tosta: 15 persone l’anno. Quando entri in un posto così, ti immergi totalmente in questo mondo e da lì la mia vita è stata segnata per sempre dal mondo dell’animazione (ride). Poi immagina … noi vivevamo anche nella scuola; una specie di “Grande Fratello” o un “Amici di Maria De Filippi” dell’animazione, dove di gi parlavi di animazione anche a cena. Non c’erano limiti, non si finiva mai e non c’era mai il momento del “cazzeggio”.
Che alla fine è proprio questo il bello: un’esperienza completamente immersiva è sicuramente molto formativa, soprattutto a quell’età. Adesso sarebbe una cosa impensabile e non ce la farei nemmeno più fisicamente. Ad un certo punto della vita, è importante avere infatti uno spazio fisico dove lavorare e degli orari, perchè ok freelance … ma se non hai orari è davvero la fine.
Al terzo anno ho realizzato il mio primo cortometraggio come progetto di laurea, che ha avuto anche un discreto successo in vari festival internazionali ed è da lì che è un po’ cominciato tutto. In seguito ho fatto varie esperienze, inizialmente in Italia, a Torino dato che vivevo già lì, in uno studio di animazione che all’epoca lavorava ad alcune produzioni per la Rai e lì ho un po’ coperto vari ruoli. Lavoravo anche lì come freelance, anzi con contratti a progetto.

TechnoAlpinLa classica gavetta, insomma …
La classica gavettissima (ride). In questo campo è davvero imprescindibile fare un dura gavetta, e alla fine io mi ritengo anche fortunata perchè è proprio il mio lavoro.

Un lavoro che ti senti cucito addosso, per così dire. Non ti capita mai di voler tornare indietro e cambiare tutto?
No, no assolutamente … mi distruggo la schiena, gli occhi e il polso: ma non potrei e non vorrei fare altro. Magari andando avanti troverò un modo sempre più mio, più maturo di fare il lavoro che amo.

Ok, Dalila: è giunto il momento in cui dovresti spiegare ai noi poveri ignoranti in materia di animazione come funziona il tuo lavoro…
Allora, in realtà dipende molto dal periodo e dai vari progetti. Ad esempio, fino alla settimana scorsa stavo lavorando per una delle serie di animazione di punta di Cartoon Network, che si chiama The amazing World of Gumball . Lì ad esempio ho un ruolo molto specifico: la parte forse un po’ più brutta è che essendo una grande produzione, ci sono tempi strettissimi e si lavora un po’ come una catena di montaggio. La parte bella, è però che lavori a un progetto davvero ben fatto; il target non è solo adolescenti, ma anche adulti. Il mio ruolo è quello della Prop Designer, ovvero mi disegnare tutti gli oggetti di scena che non fanno parte della scenografia stessa. E’ un lavoro di pre-produzione: lavoro principalmente con Flash –il software prediletto dagli animatori– e poi un’altra persona si occuperà della costruzione della scena e qualcun altro ancora realizzerà l’animazione. Essendo una serie con un design molto specifico, attendo e ricercato, si tratta di un ruolo abbastanza importante. Tra l’altro questa è anche l’unica serie di Cartoon Network prodotta in Europa, lo studio principale è a Londra e poi c’è un studio che si occupa delle animazioni secondarie in Germania. Ho iniziato a lavorare per questa serie nel 2013, quando ero ancora a Londra e fortunatamente sono riuscita a portarlo con me in Italia.
In questo preciso momento, invece, sto lavorando a un cortometraggio di Martin Romero, un illustratore spagnolo, che ha studiato ad Angoulême e appartiene al mondo del fumetto classico d’autore ed è alla sua prima esperienza di animazione. Lui fondamentalmente non sa animare e quindi il lavoro si inverte: lui si occupa della pre-produzione e io mi occupo dell’animazione. Per me è molto importante lavorare a questo progetto, perchè riguarda il mondo del fumetto e dell’illustrazione che mi affascina molto.
Io e lui avevamo già lavorato insieme in Spagna al lungometraggio Psiconautas di Alberto Vasquez e Pedro Rivero, tratto da una Graphic Novel. Anche questo ha avuto un discreto successo tanto da arrivare alla preselezione degli Oscar; anche se il target e l’approccio sono molto diversi dai prodotti Disney o Pixar che solitamente vincono.
E anche in quel caso facevo l’animatrice e animavo i personaggi in maniera tradizionale, ovvero utilizzando il computer ma disegnando fotogramma per fotogramma, che alla fine è la tecnica che prediligo.

Com’era il tuo lavoro prima dell’avvento dei computer e dei software di oggi?
Un volta era ancora tutto diverso: i disegnava tutto su carta. Ad esempio Arithmetique, il mio film-diploma, l’ho realizzato tutto con tavolo luminoso e fogli su fogli su fogli. Nell’animazione tradizionale ci sono vari passaggi, che funzionano come dei layer: un primo disegno molto schizzato; poi c’è la cosiddetta animazione assistita dove metti a modello i personaggi e infine un altro foglio ancora sarà l’animazione clean-up, ovvero quella definitiva. Ogni fotogramma era composto da tre fogli; per ogni secondo occorrono circa 25 fotogrammi … fai te il conto… E’ sempre stato un mestiere da masochista.

Parlando appunto di carta, tu allora la cosiddetta “morte della carta” l’hai sentita? oppure non l’hai sentita, ma te la auguri? Come ti poni a riguardo?
La morte della carta nell’animazione è un bene, anche se animare sulla carta è indubbiamente più bello: è un’esperienza tattile del disegnare e schizzare sulla carta, una sensazione che né tavoletta grafica più bella né i pennelli di photoshop che riproducono perfettamente il carboncino, ti potranno mai dare, quella sensazione non ti arriverà mai. Però è comunque un bene anche solo a livello ecologico e di praticità. Non mi viene nemmeno più in mente di disegnare cose di animazione sulla carta; con l’illustrazione invece è un altro discorso, perchè te lo puoi anche permettere di più, anche se in realtà non lo faccio molto: la comodità del control+z ormai è innegabile ed irrinunciabile (ride).
E’ davvero molto più pratico disegnare in digitale, poi ovvio come sogno romantico a me piacerebbe molto di più lavorare con la maternità delle cose. Per l’animazione la carta è morta, decisamente. O forse è viva nelle realtà di nicchia, dove puoi permetterti di chiuderti in una stanza per un anno e lavorare a un progetto tuo; ma in un realtà produttiva, di lavoro e profitto, è morta ed è anche un bene, come dicevo.
Poi ovvio a me piace molto l’oggetto libro e il disegnare sulla carta … ma quella è un’altra storia.
Quindi nel senso esteso dell’arte in generale, non è morta assolutamente. Ad esempio, si sul Kindle puoi leggerti un romanzo, anziché prenderlo in bibliot… però no: libri tutta la vita (ride).

In parallelo al lavoro al lavoro di animatrice, ti occupi anche di illustrazione …
Si, esattamente. L’anno scorso ho realizzato l’illustrazione di Florence Nightngale (l’infermiera britannica considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, ndr) per il libro Storie della buonanotte per bambine ribelli di Elena Favilli e Francesca Cavallo, due milanesi trapiantate a Los Angeles. Loro mi hanno chiesto uno stile preciso e hanno da subito mostrato un approccio “molto americano” con un marketing pazzesco. La prima volta che ne abbiamo parlato, mi sembrava un progetto giù molto bello anche sulla carta … ma non immaginavo sicuramente l’incredibile successo editoriale e la risonanza che ha avuto. Poi in ogni paese è stato pubblicato dalla casa editrice di punta, in Italia Mondadori e in Inghilterra Penguin, quindi anche la tiratura è stata elevata. Basti pensare che in Italia in soli due mesi, cinque ristampe. Ho partecipato anche al secondo volume, dove ho illustrato Virginia Hall, una spia americana con una gamba di legno.

VirginiaHall-RebelGirls2Come descriveresti il tuo stile come illustratrice?
Io penso che la mia mano –per così dire– si riconosca, ma non piace tanto parlare di stile, nel senso che preferisco adattarlo ai diversi progetti a cui lavoro, avendo anche esteticamente riferimenti e input diversi. Per me è difficile dire quale sia il mio stile e non mi piace nemmeno.
In generale cerco di calarmi molto nel progetto, anche perchè è una cosa che in animazione siamo chiamati spesso a fare. Quando crei poi un personaggio per l’animazione, ad esempio, lo pensi già diversamente rispetto a come lo penseresti per un libro, perchè si dovrà muovere e ci deve essere tutta una coerenza di volumi, che è poi la riconoscibilità se vuoi.
La riconoscibilità è sicuramente importante, ma avere un stile troppo definito potrebbe anche essere un limite. Se fossi nata e cresciuta come solo illustratrice, probabilmente avrei lavorato molto di più alla costruzione di un stile … granitico, diciamo (ride). D’altronde in animazione tutto si muove e anche lo stile evolve, si muove… (ride).

Quali sono le tue referenze principali, i tuoi maestri, le personalità a cui ti ispiri? Dammi tre nomi…
Ah, altro che tre …. ne avrei cento. Facciamo che ti lancio qualche nome così a raffica e poi magari mi fermo (ride).
Per l’animazione sono molto affezionata all’animazione delle avanguardie: Lotte Reiniger, che faceva delle silhouette incredibili, o ancora Oskar Fishinger che invece faceva animazione astratta. C’era anche una sua parte in Fantasia della Disney…
Winsor McCay è un altro che adoro. Diciamo che sono appassionata un po’ delle animazione delle origini, pre-Disney. Non ho niente contro la Disney e non posso escluderla dai miei riferimenti, ma c’è anche molto altro.
Parlando appunto di Disney, lo scenografo della Bella Addormenta è per me un genio.
Potrei andare avanti all’infinito. Anche di italiani ce ne sono molti anche in tempi più recenti, come ad esempio quelli della Scuola di Urbino.
Come illustrazione per bambini, dico Richard Scarry senza ombra di dubbio: mi piacciono da matti quei personaggi con gli occhi a pesce, che però sono così espressivi.

 Bologna. Torino. Bruxelles. Spagna e poi Inghilterra. Sei anche un po’ una giramondo. A casa della Regina Elisabetta II come ci sei arrivata?
A Londra sono arrivata per disperazione, un po’ come tutti (ride). 
Scherzi a parte, nella capitale inglese sono approdata perchè avevo già una rete di conoscenze londinesi che lavorano nel campo dell’animazione. Sapevo vagamente le realtà che c’erano e quindi mi sono un po’ lanciata. Ecco, non sono andata lì perchè mi hanno chiamato per un lavoro in particolare, sono proprio partita all’avventura. In Italia avevo lavorato in alcuni studi, ma era un momento in cui avevo voglia di spaziare e vedere nuovi mondi. Poi l’inglese era anche l’unica lingua che parlavo … e l’America era decisamente troppo lontana (ride). 

Lì ho iniziato a lavorare per un’agenzia di illustrazione da freelance; poi ho fatto qualche lavoretto per una ditta che si occupa di app per il telefono e quindi animazioncine un po’ stupidite … e poi sono approdata a Cartoon Network, che era anche un po’ il mio obbiettivo. Diciamo che quello è stato proprio il momento di “svolta”, che poi anche la svolta è relativa. Ci lavoro ogni anno da allora per qualche mese. Poi nel frattempo sono stata in Spagna, perchè mi hanno chiamato per questo lungometraggio che dicevo primo. A Bolzano sono approdata diciamo per motivi personali, e poi avevo anche voglia di tornare in Italia. Avevo già una bella rete di contatti e quindi potevo permettermi la vita da freelance. Vita che, diciamolo, è un bel casino.

Ecco proprio qui volevo arrivare. Troppo spesso nel quotidiano, chi fa mestieri creativi, dal musicista all’illustratore, e anche il freelance, passa per quello che non lavora mai e puoi gestirsi come meglio crede. Raccontaci com’è la vita da freelance e sfatiamo questo mito.
Fare il freelance vuol dire tante cose, sopratutto in Italia. E’ vero che si sono magari periodi in cui non fai niente, ma sono anche i periodi peggiori. Anche quando non ha progetti a cui lavorare, ti devi comunque aggiornare, portare aventi il tuo portfolio che rientrano poi nel tuo lavoro. Io poi sono una molto costante: tipo, anche quando non lavoro per un grande cliente come Cartoon Network, vengo qui in studio alle nove di mattina e esco alle sei e mezza di sera. Io lavoro comunque, anche se è innegabile che ci siano degli alti e bassi, soprattuto in Italia, dove burocraticamente è molto più complicato. A Londra, questo tipo di industria è più in fermento ed è tutto più facile. Ad esempio, puoi cercare lavoro come animatrice sul computer, è una cosa in Italia è praticamente impensabile. Qui, almeno per la mia esperienza, devi avere una solida rete di conoscenze. Anche se devo ammettere che in Italia la situazione per il mio lavoro, non è così male come si potrebbe pensare … certo, Londra è un altro mondo; il che significa anche molta più concorrenza. Diciamo che, ovunque tu sia, se ti sei costruito una buona rete di contatti riesci a lavorare: io ad esempio sono qui a Bolzano, fatturo con la partita iva italiana, ma i miei ultimi clienti erano tutti stranieri.

fotodimeCome scegli i progetti su cui lavorare?
Adesso “discrimino” un po’ di più, faccio più attività di selezione; mentre quando sei più giovane accetti un po’ tutti i lavori, anche perchè ti senti già una privilegiata a fare questo lavoro, a pagare l’affitto, le bollette e i vestiti… disegnando. Diciamo che adesso sono arrivata a un punto dove posso ritenermi abbastanza soddisfatta: lavoro praticamente solo a progetti che ritengo molto interessanti e che mi piacciono molto, di cui io stessa potrei essere il potenziale fruitore.

Allora, dopo Cartoon network qual’è il tuo prossimo obbiettivo?
Ah ecco, vedi la domanda sul futuro è arrivata (ride).
No dai, a parte gli scherzi … il mio sogno, il mio vero obbiettivo nel futuro prossimo, sarebbe quello di creare uno studio tutto mio, con altri amici e persone che stimo e lavorare per altri. Una cosa del genere permetterebbe sia di portare avanti i tuoi progetti personali, ma anche che ti di lavorare per un certo tipo di clienti. Adesso diciamo che sono quasi-pronta per questa cosa… poi non si sa mai, non è detto niente.

Ma tipo … se un domani ti chiamasse la Pixar, prenoteresti il primo volo per l’America o passeresti il turno?
Mah non si dice mai di no a una cosa simile, perchè sarebbe sicuramente un’esperienza formativa al 100%, però devo dire che non nella mia top list. Ecco, non vado a dormire sperando che la Pixar mi chiami, anche perchè non mi piace molto il loro prodotto finale. Poi comunque, ho già lavorato per una grossa casa di produzione e, non dico che non vorrei più lavorarci, ma mi piacerebbe lavorare anche a cose più piccoline, con realtà diverse. In pratica, come sto già facendo adesso.

E di Bolzano, come piccola realtà dentro al grande scenario italiano, cosa mi dici?
Allora non saprei giudicare in generale, ma per quella che è la mia esperienza posso dire c’è effettivamente un’attenzione molto mitteleuropea all’estetica molto bella ed interessante.
Poi a me piace l’estetica un po’ nordica e qui, indubbiamente, si ritrova molto. Io poi sono originaria della provincia di Sondrio e sono una donna di montagna e questo tipo ti estetica nordica che qui si ritrova molto, mi piace e mi ci sono un po’ “intrippata”. Casualmente poi, mi è capitato il lavoro di illustrazione per il calendario della TecnoAlpin, una ditta di Bolzano che produce cannoni sparaneve. E’ stato molto interessante lavorare a questo progetto, perchè ero proprio immersa in questo tipo di estetica molto precisa e forse anche un po’ onnipresente. Non so se è perchè sono tornata a vivere in montagna, ma mi sembra che questo stile sia ovunque (ride). E poi, in uno dei miei momenti vuoti da freelance (ride), mi è anche venuta la voglia di sviluppare una serie ambientata in montagna, con personaggi di montagna, eccetera eccetera…
Purtroppo qui non ho tutta quella rete di gente che lavora nell’animazione come ce l’ho in altre città del mondo. Ecco, diciamo che per quanto riguarda il mio lavoro sono un po’ isolata, poiché non ho colleghi con cui scambiare progetti ed opinioni.

Tutto quindi può essere per te una fonte di ispirazione?
Beh si, io sono molto ricettiva e mi affeziono molto ai luoghi dove vivo. E’ vero che ho vissuto in tanti posti diversi, ma per me sono tutti, in un modo o nell’altro, “casa”. Assorbo al 100% dall’ambiente che mi circonda. Poi vado, vengo, ritorno o magari non torno proprio … mi piace guardarmi attorno. Per me l’Alto Adige è sopratutto montagna, un po’ un ritorno alle origini.

Senti Dalila, ma visto che ormai sei anche tu immersa nel franz-mood (il suo studio è locato nello stesso edificio della franz-redazione, in Via dei Portici, ndr) è vera questo visione di un Alto Adige “more than apples and cows”?
Beh no, verissimo. Che poi io sono tornata a questo tipo di estetica di montagna perchè sono un po’ le mie origini e sono fatta io così. Ma comunque, si alle mele e alle mucche, ma meno male che c’è molto di più!
Sarà perchè siamo vicini al confine e anche forse perchè si parla anche tedesco, la cosa bella di Bolzano è proprio questo essere proiettata verso il mitteleuropa.
Il tedesco, poi … lingua che a me piace tantissimo, ma che non ho mai approfondito più di tanto: appena sono arrivata qui mi sono detta: “Mah si dai, mi imparo il tedesco che è una figata!”, poi però non è stato così, perchè è effettivamente impossibile imparare una lingua di cui non hai necessità quotidiana. Però è una lingua che mi piace molto, la trovo molto interessante sia come suono che anche come struttura … e poi anche io dai sono un po’ così “strukturiert” (ride).

 

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