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November 27, 2017

“Weit. Die Geschichte von einem Weg um die Welt”: il docu-film di Gwendolyn Weisser e Patrick Allgaier

Anna Tagliabue

Una nave da crociera ritorna dai Caraibi per fermarsi nel porto di Barcellona. 110 cuochi per 90 passeggeri, a prezzo stracciato e tutto incluso. Non è uno spot pubblicitario, ma la fine del racconto di un viaggio con la V maiuscola, che termina con leggerezza, così come è stato vissuto per gli oltre tre anni che hanno impiegato Gwendolin “Gwen” Weisser e Patrick Allgaier ad attraversare il globo, da est a ovest, fino a tornare a casa, letteralmente, dall’altra parte del mondo. 

Questa storia, narrata e ripresa dai due – Patrick è lui stesso cameraman di professione -, è diventata un documentario che racconta della giovanissima coppia di Friburgo (all’inizio del viaggio lei ha circa 20 anni, lui è quasi trentenne) che ha viaggiato talmente ad est da risbucare dall’altra parte del planisfero dopo aver attraversato il mondo passando per decine di paesi (non sempre i più popolari o travel-friendly) e spostandosi solamente a piedi o in autostop, dormendo in tenda o da estranei. Dopo l’Europa orientale, la Russia, l’Asia centrale e le sue sconfinate steppe, attraverso il Mar Caspio verso il Caucaso e l’Iran, passando poi per il Pakistan per entrare in India. Alle folle delle città preferiscono la solitudine di un riparo isolato, il contatto diretto con la natura e il silenzio. Questo troveranno viaggiando per il Nepal, poi la Cina - dove comunicheranno solo grazie ad un messaggio stampato tradotto da un’amica, e soprattutto in Mongolia, terra sconfinata ma accogliente e calorosa. Scoperta la gravidanza di lei, si fermeranno in Siberia per due mesi, lavorando in cambio di vitto e alloggio e pianificando il procedere del viaggio, che nonostante il bambino in arrivo, non finirà. Ormai la strada, dicono, è diventata la loro casa. Ripartono e in due settimane sono a Tokio, la più grande città al mondo, con la quale saluteranno il continente attraversando il Pacifico su una nave container alla volta del Messico, dove faranno nascere Bruno, e così la loro famiglia. 

Una volta raggiunta l’Europa, dopo più di tre anni e con un bambino in più, i due riflettono sul senso del loro viaggio. Forse solo a due cose non hanno voluto rinunciare: al godersi appieno il tempo e lo spazio del mondo. Nelle lunghe attese (di una traversata, di un passaggio, di un visto) hanno avvertito il legame tra le due dimensioni, che nel camminare ancora si equivalgono. Si sono adattati lentamente alle distanze e al clima, ai cibi, alle lingue e alle persone, hanno concesso così al corpo un tempo di costruzione nel movimento, e al viaggio momenti di sosta, riparo e stabilità laddove le circostanze lo richiedevano. Aspettando il tempo necessario al ritorno hanno rinunciato alla facilità e alla velocità di un aereo, vivendo e sentendo ogni centimetro delle distanze e scoprendo così anche i loro limiti fisici e mentali. 

Anziché raccontarvi di più, vi invito ad andare a vedere questo docu-film: è in proiezione al Filmclub Capitol di Bolzano. Io l’ho scoperto per caso, cercando un film in lingua tedesca per passare una serata con un’amica venuta da Monaco. Leggendo la locandina, non potevamo non scegliere “Weit. Die Geschichte von einem Weg um die Welt”. Il racconto, intercalato da letture fuoricampo, probabilmente tratte dai diari dei due viaggiatori, riflette a posteriori su un viaggio in cui i due riescono ad unire la fantasia, che permette loro di partire e superare gli imprevisti, all’esperienza diretta, che pian piano gli insegna ad apprezzare e distinguere la realtà per com’è, a cavarsela solo con un pentolino e quantità infinite di polenta istantanea, una tenda, il proprio cervello e le proprie mani, unici strumenti che servono a riparare, spostarsi, chiedere aiuto, capire i pericoli, riconoscere e praticare la gentilezza senza l’aiuto di una lingua comune, e che permetteranno loro di girare il mondo senza mai prendere un aereo.

È un racconto intimo, e allo stesso tempo leggero e divertente, senza pretese di stupire o insegnare nulla: la storia di una scelta guidata da idee semplici ma ferme, costellata dagli incontri con persone diversissime, di cui vengono messe in risalto con leggerezza sia le differenze, a primo impatto incomprensibili, che l’umanità e le stranezze e che invece le accomunano attraverso i confini. è quel tipo di racconto che lascia a bocca aperta non tanto per l’impresa stessa del viaggio, ma perché ci ricorda, svegliandoci magari dal torpore dell’abitudine, che se guardiamo là fuori siamo piccoli, siamo pochi, siamo una tra mille possibilità che saremmo potuti essere, risveglia lo stupore che in un mondo apparentemente globalizzato persistano – e resistano – certe tradizioni, mentalità, riti e culture che ignorando i confini si mescolano e tendono per storia e geografia a intrecciarsi inevitabilmente. Gwen e Patrick si lasciano guidare da questo stupore, cibandosene, facendo prevalere la curiosità alla paura, l’essenziale al bisogno di comodità, cercando di vivere l’esperienza del viaggio adattandola alla loro fantasia, e viceversa.

Insomma, andate a vederlo, portateci parenti ed amici, fatevi un regalo in anticipo per Natale, date uno sguardo – anche se indiretto – a come, nonostante il planisfero, nessuno di noi sia al centro del mondo: non servirà a risolvere i nostri problemi o quelli di altri, ma darà forse una prospettiva diversa con cui poterli anche solo considerare, e magari farà venir voglia di dare noi stessi uno sguardo a qualcosa che sia là fuori, magari anche solo nella strada  o nel cortile – dietro casa.

Il film è in proiezione al Filmclub Capitol di Bolzano fino a martedì 28, e sarà disponibile in DVD e Blu-Ray all’inizio del nuovo anno.  

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