Food

August 11, 2017

De gustibus Connection #64: Claudio Melis, Zur Kaiserkron + In viaggio, Bolzano

Mauro Sperandio
De gustibus connection è una violazione della proprietà (intellettual-culinaria) altrui, un auto-invito a pranzo da chi sa cucinare davvero, un rapido interrogatorio senza la presenza di un legale, una perquisizione senza mandato tra mestoli e padelle. Ed oggi, un giro del mondo accompagnati dall'ispirata cucina di Claudio Melis...

Mauro Sp: In questo contesto la domanda è forse paradossale, ma ti chiedo: non è che di cucina se ne parla ormai troppo?

Claudio Melis: Siamo passati dal troppo poco al -forse- troppo.
Fortunatamente, negli anni l’immagine del cuoco è cambiata parecchio, passando da “bruciapadelle” rintanato nella sua cucina a protagonista del ristorante, che parla e spiega i piatti ai clienti, e assurge addirittura al ruolo di “chef-star”. Ciò che per noi è una novità, in Francia è un costume antico, visto che in quel paese la cucina è da sempre considerata parte del patrimonio culturale.

Allo stesso tempo, però, la spettacolarizzazione della cucina ha portato alla nascita di figure come quelle dei food blogger e degli appassionati che, senza una preparazione seria, si improvvisano ristoratori, creando confusione e false aspettative nel mondo della gastronomia.
Credo però che questa parabola giungerà alla sua fase ascendente e dal parlarne troppo, e magari a vanvera, si giungerà ad una nuova e più solida consapevolezza.

M: Di cosa credi abbia bisogno la cucina italiana?

C: Di una dichiarazione precisa di identità. Ti cito ancora la Francia, ma lo stesso vale per il Regno unito: questi due paesi hanno un’identità nazionale definita da secoli e la dimostrano in maniera compatta anche nella loro cucina. Nel nostro caso, a “soli” centocinquant’anni dall’unità d’Italia, la frammentazione del paese in quelle che erano gli stati precedenti persiste anche in cucina.
Tra gli anni ’70 e ’80, anche grazie a Gualtiero Marchesi, abbiamo imparato la tecnica culinaria dai francesi, applicandola al ricettario italiano. Lo abbiamo fatto sicuramente con grandi risultati, ma anche con grandi scopiazzature.
Sono arrivati poi gli influssi della cucina spagnola e quindi di quella nordica, con il suo impiattamento a sinistra e i mille puntini nel piatto, che abbiamo scimmiottato per bene.
Credo che ora sia giunto il momento di dare un taglio ben definito alla nostra cucina, impiegando le nostre migliori materie prime e ricorrendo a quelle estere solo quando non si può fare in altro modo, ma sempre in maniera etica. Non abbiamo bisogno di copiare le altre cucine, di impiattare come gli altri nè tantomeno di molecolarizzare la nostra cucina. Abbiamo tutto quel che serve, basta solo utilizzarlo nel migliore dei modi.

M: La tua carriera ti ha visto alla guida di importanti cucine d’Europa e Medio Oriente. Cosa ti ha insegnato il confronto con culture molto diverse dalla nostra?

C: Lo scorso 20 luglio, sempre a palazzo Pock, dove si trova il nostro Zum Kaiserkronen, ho inaugurato un nuovo ristorante che si chiama In viaggio -  Claudio Melis Ristorante. Questa attività incarna la risposta alla tua domanda, perchè è costruita sulla base delle esperienze che ho fatto all’estero e dei fotogrammi che sono rimasti nel mio palato, nella mia mente e nel mio cuore. Ho imparato che in ogni cultura ci sono aspetti positivi e negativi da cui imparare e guardarsi. Ricordo l’umiltà dei ragazzi cinesi e giapponesi, la scaltrezza degli indiani, il rispetto dei cingalesi e dei filippini. Ho ben presente lo sforzo psicologico che ho dovuto fare quando ho lavorato per un anno ai Caraibi. In quell’occasione sono dovuto entrare nella mentalità delle persone del posto insieme alle quali lavoravo, per convincerle che non ero l’uomo bianco arrivato per sfruttarli come ai tempi della schiavitù.

M: Cosa ti ha impressionato di queste cucine lontane?

C: Ho scoperto sapori, spezie e modi di cucinare molto differenti dai nostri, arcaici in alcuni casi. Nei paesi scarsamente civilizzati, infatti, oltre al fuoco diretto si utilizzano la pietra, il legno, le foglie e le radici. Le tecniche, i sapori e le emozioni che ho portato a casa si ritrovano nei piatti del nuovo ristorante assieme a tanti nostri prodotti locali. Attraverso i nove piatti che presentiamo accompagno i nostri ospiti in un viaggio per il mondo.

M: Dopo tante esperienze, credi che nei tuoi piatti siano rimaste delle riminiscenze della tradizione gastronomica della tua Sardegna?

C: Nella mia persona c’è tutto il sardo che può resistere! (ride n.d.r.) Per quanto riguarda la mia cucina, ti faccio un solo esempio: ogni tavolo di In viaggio ha una decorazione diversa, che ricorda i cinque continenti. A questi ho aggiunto la Sardegna, che considero il sesto continente.
Un altro richiamo alla mia terra si trova nella carta, con “I ravioli di casa mia”, ovvero i ravioli di patate, menta e zafferano che prepara la mia mamma. Confesso che è da vent’anni che provo a farli uguali, ma i suoi per me resteranno sempre imbattibili…

M: Tra tutto quello che hai assaggiato e preparato, a quali piatti ti senti particolarmente legato?

C: A casa mi preparo sempre volentieri un bel piatto di spaghetti cacio e pepe: mi mette in pace con me stesso.
Tra i piatti che ho preparato per i clienti, così su due piedi, me ne viene in mente uno che ho ideato durante i sei mesi in cui ho lavorato in un piccolo ristorante in provincia di Bergamo. È stato un periodo di grande sperimentazione: la proprietaria, l’altro cuoco che lavorava con me ed io eravamo stati da poco a mangiare da Ferran Adrià ed eravamo infiammati dalle novità che caratterizzavano la cucina degli anni ’90. Il piatto prevedeva una crema di lenticchie al curry, scampi arrostiti, spaghetti di riso cinesi e delle orecchie di maiale croccante. A quei tempi mettere insieme carne e crostacei era una cosa ancora inusuale e il piatto aveva un importante impatto gustativo, ciononostante ebbe un grande apprezzamento dei clienti.

M: E tra quelli assaggiati?

C: Ricordo come una grande emozione l’uovo di quaglia caramellato alla noce moscata di Adrià: un’esplosione di gusto, che in un solo boccone ti fa scoprire un mondo. Attenzione, non sto parlando di mini-piatti che con le loro esigue quantità non ti permettono di comprendere come sono composti, ma di bocconi di altissimo livello.

M: Fuori piove, non ho l’ombrello e non me la sento di affrontare un viaggio. In attesa che il tempo migliori, perchè non mi porti a spasso con una tua proposta?

C: Con piacere! Ti propongo un menù di quattro portate. Iniziamo con una carota antica brasata, cotta in un succo di arancia e di carota, servita con del kefir e della gelatina di birra.
Continuiamo con un assaggio di assoluto di polipo: polipo arrostito servito con della gelatina di pomodoro, brodo di polipo chiarificato – l’assoluto, appunto – e della polvere gelata di basilico. Un vero piatto mediterraneo.
Visto che te ne ho parlato, ti propongo “I ravioli di casa mia”, farciti di patate, menta e zafferano, serviti con crema di finferli, finferli saltati e nasturzio.
Per chiudere con un richiamo anche alla Sardegna, devi provare il “Maialino Cinturello orvietano”. Si tratta di un maiale di Cinta Senese in purezza, che compro da un amico allevatore eroico che lavora ad Orvieto. Te lo servo in tre portate con tre differenti declinazioni regionali.

Alto Adige: come prosciutto cotto fatto in casa, con della spuma al rafano.

Medio Oriente: come controfiletto rosolato, servito con datteri farciti di mandorle avvolti nello speck e salsa di liquirizia. Sia chiaro, in Medio Oriente il maiale non lo mangiano, ma ho voluto sposare questa carne con i loro sapori.

Asia: Un panino fatto al vapore, detto bun, fatto con una focaccia pugliese alle patate, farcito con la spalla del maialino prima brasata nel suo grasso e quindi sfilacciata e saltata con verdure e un goccio di salsa di soja.

M: Complimenti! Un vero giro del mondo!

C: Che ne dici di chiudere con un dolce?

M: Ben venga!

C: Adoro l’olio extra vergine d’oliva e gli ho voluto dedicare un dolce, che ho chiamato EVOO. Il piatto si compone di un cremoso di cioccolato, una spugna di yogurt, prezzemolo ed olio extravergine d’oliva, un gelato alle mandorle, della polvere ghiacciata di prezzemolo ed una gelatina al lampone. Il tutto è irrorato con un olio extravergine d’oliva aromatizzato alla vaniglia. Un piatto colorato, vivo, che a livello gustativo incanta a lungo.

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