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March 1, 2017

Docu.emme 2017: parliamo di “Liberami” con Federica Di Giacomo

Mauro Sperandio

Un documentario sulla pratica dell’esorcismo, che, lontano dai sensazionalismi e dalle caricature a cui il cinema ci ha abituato, racconta di quanto questa pratica sia tornata “in auge”. In occasione del primo appuntamento di Docu.emme 2017, incontriamo la regista Federica Di Giacomo, unica italiana premiata alla Mostra del Cinema di Venezia 2016 con il suo “Liberami”.

Come nasce l’interesse per il tema dell’esorcismo?

Mi trovavo in Sicilia, e mi capitò di leggere di un corso di formazione per esorcisti organizzato iniziativa dalle diocesi della regione. Trovando il fatto piuttosto singolare, iniziai a fare delle ricerche sull’argomento.

federica di giacomo

Quali sono state le difficoltà e i pregiudizi che personalmente hai dovuto affrontare e riconsiderare nel girare “Liberami”?

Si trattava di un tema per me molto lontano, che associavo, come tutti, all’horror.  Non sapevo che gli esorcismi fossero praticanti anche al nostro tempo in maniera così massiva e l’argomento, francamente, mi respingeva. Quando abbiamo cominciato a fare le ricerche sulla pratica dell’esorcismo, quest’aura terrorifica è svanita, prendendo le forme del dolore umana, di un contesto umano e di umane difficoltà, che interessano tanto i preti quanto le persone sofferenti. Grazie a questa rivelazione ho compreso che, con il mio metodo di lavoro, avrei potuto entrare in questo ambito, realizzando un racconto cinematografico. Quanto alle difficoltà oggettive, esse erano legate al fatto che quella degli esorcismi è una realtà che buona parte della chiesa vuole tenere nascosta. Chi si trova, invece, ad esercitare quotidianamente l’attività di esorcista desidera parlarne, facendo conoscere le situazioni che, quasi come degli assistenti sociali, si trovano a dover fronteggiare.

L’atto liberatorio può essere visto come metafora. Di cosa credi la nostra società desideri liberarsi?

Qualsiasi società prevede dei riti che fungono da valvola di scarico, nella nostra c’è ancora bisogno di sfogare queste tensioni. Alcune soluzioni che la nostra società ha trovato per permettere all’uomo di dare un senso alla propria esistenza non sono state evidentemente esaustive. Siamo una società estramemente razionale e legata a valori che ormai vanno oltre alle manifestazioni anche fische delle emozioni: si pensi alla rabbia, al sesso, – così sublimato nell’immaginario, ma sempre meno praticato.
Nella nostra società l’essere ascoltati e il ritrovarsi al centro dell’attenzione è cosa rara, che spesso non trova soddisfazione nemmeno davanti ad un medico o a uno psicologo. È difficile trovare qualcuno che ascolti e dia un senso ai nostri disagi. La parola “psicosomatico” è entrata ormai nel vocabolario di tutti, e risulta facile il concetto per il quale il corpo somatizza il disagio. Sfortunatamente non è altrettanto facile trovare delle persone in grado di comprendere questa dinamica e curarla. In un certo senso, molti di questi disagi potrebbero essere ricondotti a disturbi psicosomatici, però non ci sono categorizzazioni che li contemplino tutti. In un certo senso è normale che l’essere umano torni a delle soluzioni che sembravano antiche e che percorrono strade tutto sommato semplici, come la separazione tra bene e male e la preghiera. La religione attinge alla modalità di contatto più semplice e lineare con qualcosa di più grande di noi e per questo spinge molte persone a rivolersi ai sacerdoti.

Federica di Giacomo

Anche nel cinema, l’esigenze di mercato limitano ed imbrigliano le scelte degli autori. Da quali demoni e da quali seduzioni si devono guardare i cineasti?

Io sono una cineasta molto artigianale, ho scelto la forma del documentario perchè permette molta indipendenza a livello produttivo e soprattutto creativo. Per fare cinema-documentario non è necessario avere grosse troupe, mi trovo, anzi, spesso a lavorare da sola. I demoni del sistema produttivo li ho subiti poco, avendo accettato di fare film con poco e prendendomi tutto il tempo di cui avevo bisogno. Credo che, più in generale, il demone più temibile per i cineasti sa quello dell’autoreferenzialità: quando una persona perde il contatto con quello che veramente ha urgenza di dire o raccontare, e cede alla tentazione di fare cinema come un comune altro mestiere, potrà anche avere gloria e successo, ma in quel momento si danna, come qualsiasi altro artista che si trovi a perdere il senso profondo di ciò che fa.

Foto: kinoweb

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