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November 23, 2016

Giancarlo Riccio racconta Vassalli e il suo Sudtirolo difficile

Mauro Sperandio
Descrivere, o meglio, raccontare l'Alto Adige: partendo da Vassalli, Giancarlo Riccio ci parla di questa provincia complicata...

Giancarlo Riccio è giornalista di lungo corso (“La Lettura del Corriere della Sera”, “Corriere dell’Alto Adige” e “Corriere del Trentino”, tra gli altri), storico del giornalismo, docente presso l’università di Berlino e autore di vari libri (tra questi “Nina Hagen, wagnerian rock”, sfortunatamente introvabile). L’occasione di incontrarlo per l’uscita del suo Vassalli, il Sudtirolo difficile voleva essere anche quella per parlare di giornalismo e giornalismo in e per l’Alto Adige. Questo secondo intento non è stato appagato, ma senza rimpianto da parte mia, perchè il confronto con Riccio è stato interessante e stimolante. Non siamo riusciti a parlare di giornalismo oltre il libro, non per scortesia dell’autore, ma per umiltà dello stesso, che vuol essere narratore di quel narratore che è stato Sebastiano Vassalli. Serio nell’analisi, circostanziato nel racconto, Giancarlo Riccio si mette al servizio di una provincia che merita riflessione, studio e “metastudio”, ovvero ricerca di consapevolezza e affidabilità sui materiali che la riguardano.

Non solo un libro sulle pubblicazioni “altoatesine” di Vassalli, ma un’indagine su Vassalli e il Sudtirolo. A quale esigenza risponde il tuo “Vassalli, il Sudtirolo difficile”?

Il libro è nato in maniera un po’ precipitosa dopo la morte di Vassalli, che nel suo ultimo autunno aveva promesso di venire a Bolzano a parlare dei suoi lavori. Il mio interesse in principio riguardava i suoi due libri sull’Alto Adige, ma con il procedere delle ricerche il lavoro ha compreso i canoni estetici, letterari, sociologici e storici del lavoro di Vassalli, includendo anche un capitolo sul Vassali artista, che deve parte della sua ricerca all’essenziale Lorena Munforti, seria professionista e fortunatamente mia compagna di vita.
Il mio vuole anche essere un contributo nel percorso della convivenza. Questa, come l’autonomia, richiede antenne alte e salde, perchè ogni giorno rischia di essere messa in crisi. I nemici del vivere assieme sono la pigrizia delle persone, ma anche la cattiva volontà dei rappresentanti dei due gruppi etnici, non solo linguistici. Il merito e il valore aggiunto di Vassalli sono stati quelli di arrivare da fuori e, come il Candido di Voltaire, di fotografare una situazione, in modo solo apparentemente ingenuo, ma in realtà molto lucido. Non trascuriamo il fatto che Vassalli si riferisce a questa provincia come Sudtirolo/Alto Adige, italianizzando il primo termine e anteponendolo a quello italiano. Questa scelta non è questione squisitamente linguistica, ma sottende una questione importante: è facile parlare di Alto Adige, è facile parlare di Süd Tirol, ma parlare di Sudtirolo è un atto di coraggio, che guarda oltre i limiti di questa convivenza.

Dal brusco “Sangue e suolo” al più meditato “Il confine”: cosa è successo in 30 anni in Alto Adige e come è cambiata la visione di Vassalli?

“Il confine” è un libro più pacato, storiograficamente supportato da una maggior documentazione, perchè nel frattempo il Sudtirolo, con il primo e il seconde pacchetto per l’autonomia, era cambiato e non – come dice qualcuno – perchè era cambiato Vassalli. Non voglio fare un monumento allo scrittore, ma non trovo nemmeno giusto che tutti i guai della provincia siano imputabili a quel Vassalli, che era “colpevole” di essersi – da straniero – occupato della nostra provincia, fornendo “una specie di piccola bibbia dell’italiano incazzato per l’Alto Adige”, come scrisse Langer. Penso anzi che il disincanto, che il suo non essere del posto, gli conferiva sia quel requisito necessario per descrivere un laboratorio così complesso come quello altoatesino. Curioso, se vogliamo, che ad occuparsi di Vassalli “analista forestiero” sia io, che nel corso della mia vita sono stato altoatesino, d’altrove e nuovamente altoatesino.
Tra i due libri dedicati all’Alto Adige, oltre ai vari capolavori noti, Vassalli ha scritto anche quel “Marco e Mattio” che, con il suo occuparsi di convivenza ed emarginazione, forma una sorta di trilogia dedicata ai confini. Tema, quello del limes, che per lo scrittore è stata una sorta di ossessione magnifica, anche se dolorosa, della sua ricerca.

Giancarlo Riccio

Noto come molti dei detrattori del Vassalli di “Sangue e suolo” con il tempo, e forse con “Il confine”, abbbiano ammorbidito o sovvertito la loro posizione nei suoi confronti. Cosa credi il tempo abbia compiuto?

Credo che abbiano rivalutato la loro posizione, che al tempo di “Sangue e suolo” era stata molto influenzata dal giudizio di Alexander Langer. Le sue critiche erano diventate un ombrello sotto il quale tutto il conformismo, anche quello di sinistra, si è prudentemente raccolto, giusto per evitare di dire cose scomode. Oltre a questo, c’è forse il fatto che gli ex detrattori si devono essere resi conto di quanto poco hanno fatto perchè i due si potessero confrontare. Non per trovare un compromesso, si badi, ma per costruttivo approfondimento.
Il litigio tra lui è Lang è stato intenso, ma sono sicuro che, se si fossero ritrovati, avrebbero probabilemnte trovato una serie di punti di incontro.
Come dice il mio caro amico Toni Visentini poi, anche riguardo la questione vassalliana, i cosiddetti “osservatori locali”, con poche felici eccezioni, hanno voluto guardare l’ombelico. Ma l’Alto Adige non è l’ombelico del mondo. Proprio in questo sta il valore aggiunto che solo uno scrittore non del posto può portare in questa indagine.

Nel tuo libro citi un intervento di Vassalli in un liceo di Roma. Egli afferma: “l’unica forma tangibile di sopravvivenza alla morte data agli uomini sono le loro storie”. In questa provincia con un paesaggio da fiaba, dove si parla una lingua che è un dialetto medievale, dove a dispetto di quanto spesso si dica c’è il poverello e il riccone, non è che forse quello il racconto, più che la cronaca, sia lo strumento per poter descrivere con onestà?

Vassalli è stato un propulsore di racconti. Come un razzo spaziale che parte all’esplorazione di un mondo lontano e durante il viaggio si libera delle parti non più necessarie, diventando sempre più veloce ed essenziale, Vassalli è stato un grande motore narrativo. Lui racconta disagi, momenti felici e contraddizioni, attraverso un lavoro di intreccio su ciò che vuole approfondire e raccontare.
Il racconto è il suo modo di esprimersi.

Cosa pensi, tu giornalista, dell’adeguatezza del racconto per descrivere questa terra?

Ci vuole un grande talento narrativo ed uno studio attento delle fonti, per supportare con dati certi i fatti. Il racconto, le storie raccontate attraverso i personaggi protagonisti di fatti o di luoghi, è un modo, con il giornalismo d’inchiesta tout court, per fare del buon giornalismo. La nostra provincia, salvo le redazioni dei giornali, manca di scuole importanti di giornalismo e deve fare affidamento sulle doti innate dei pochi autorevoli.

Vassalli preconizzava la sparizione di un’italianità dell’Alto Adige, l’evidenza lo ha smentito. Ti chiedo a quale italianità ci troviamo oggi di fronte?

A quella che probabilmente sarebbe piaciuta a Vassalli, ovvero quella del confronto e del dialogo e non del conformismo. Per molti anni si è detto che questa era una provincia in cui andavano costruiti ponti, più che muri. Gli italiani hanno commesso l’errore di non ascoltare quanto avrebbero dovuto i sudtirolesi e questi ultimi di non aver ascoltato i primi. Aver affidato questo reciproco ascolto alla sola buona volontà di uomini e donne è stato un errore della politica, che ha badato al proprio tornaconto, mantendo ben distinti i rispettivi bacini di voti.

Non si può mancare di dire che gli Italiani hanno qui il loro spazio, possono perseguire le loro ambizioni, ma spesso le iniziative culturali restano riservate ai rispettivi gruppi linguistici, senza contaminazione. I ladini, invece, a dispetto di italiani e tedeschi, vivono in un limbo con super-musei che meriterebbero una maggior pubblicità. Tra questi tre ceppi, poi, si fanno largo dei germogli di cultura latino-americana, cinese e di altre provenienze. Gli italiani in Sudtirolo non si estingueranno, ma dovranno avere una maggiore disponibilità verso la lingua e la cultura sudtirolese, in attesa che si faccia lo stesso anche dall’altra parte. Il mio libro, come alcuni di storia locale recente, penso possa essere utile proprio a capire la situazione di questa provincia, liberandosi da stereotipi e preconcetti.

Giancarlo Riccio, Vassalli, il Sudtirolo difficile,  ed. Alpha Beta Verlag , Merano 2016.

Foto: (1) © Lorena Munforti.

 

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