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November 8, 2016

“Wonderland” al TSB: il teatro spia dietro le serrande. E noi con lui

Claudia Gelati

Giovedì scorso il grande debutto con una sala gremita di spettatori, tra battute appuntite, binocoli e spunti di riflessione. Daniele Ciprì e Stefano Bollani, con la produzione “Wonderland” in apertura della stagione del Teatro Stabile di Bolzano, sfidano i limiti dell’immaginazione tra quotidianità, grottesco, una catena di citazioni e profumo sensato non-sense. Una manciata di impressioni da spettatore a spettatore, da chi lo spettacolo l’ha visto per e con l’amico Franz.

Giovedì sera tirava un vento freddo a Bolzano e l’aria pungeva in viso.
No, il giovedì non scrivo del meteo ma vado a teatro e mi emoziono. L’atmosfera del teatro è particolare e densa: le porte che si aprono e si chiudono, il vociare ingombrate ma gioioso, brochure che si sfogliano e si commentano, biglietti da comprare ed indaffarati adatti ai lavori, gruppi raccolti di spettatori che s’abbracciano e stringono mani, aspettando il momento clou della serata: l’ingresso in sala. Biglietto, taccuino e … binocolo alla mano, salgo le scale e cerco tra le ordinate lettere il mio posto. V 34. Ah, eccoci.
Si, dicevo, binocolo: uno per ogni spettatore. Ironia agrodolce sulle diottrie degli spettatori o grande impresa democratica?
La sala si riempie alla svelta e, puntuali, alle 20.30, si abbassano lentamente le luci. Qualche ostinato ed impertinente cellulare suona con un impavido coraggio per la discutibile scelta melodica. Le voci e il brusio piano piano si spezzano e gli occhi, solleticati dall’aspettativa, si concentrano sul palcoscenico.

Giovedì sera ha debuttato, in prima assoluta, “WONDERLAND”, piéce teatrale scritta a più mani da Damiano Bruè, Daniele Ciprì e Nicola Ragona, con la regia dello stesso Ciprì. Si tratta di un’opera teatral-musicale: la colonna sonora è stata composta ed eseguita dal vivo dal funambolico pianista Stefano Bollani, che volando sui tasti bianchi e neri, si pone quasi come uno di noi, uno spettatore e commenta le vicende presentate nota dopo nota; talvolta con drammaticità, talvolta con ironia. Un Bollani che, indossando calze rosse e lanciando affilate battute, apre lo spettacolo recitando la parte del cosiddetto “copri-miseria”, come se fosse stato chiamato, a suo ironico dire, per mascherare la miseria dello spettacolo. Ma di cosa si tratta? Qual’è la trama?
Ecco, con questo spettacolo abbiamo la possibilità di “spiare” legittimamene la vita quotidiana dei sei personaggi presentati; infiltrarsi aldilà della serranda e guardare. Riflettere. Capire. Capirsi, attraverso gli altri.
Ecco, fate senza sbattere gli occhi e cercare un briciolo di dignità. L’abbiamo fatto tutti. Lo facciamo tutti. Fa parte della vita e non si bisogna vergognarsene, dai. E’ una cosa naturale, insita nel dna umano. Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo spinto lo sguardo nelle finestre illuminate, e spiato silenziosamente la vita di questi esseri umani, uguali e allo stesso tempo diversissimi da noi; immaginato i loro nomi e il loro quotidiano. Un po’ come quando da bambine, giocavamo con le inossidabili bambole o quando in treno, da una fermata e l’altra ci divertiamo ad immaginare la vita dei vicini di posto. Ecco, inventare storie; credo che sia una prerogativa umana: abbiamo bisogno di sentirci parte di una narrazione più grande, fatta di piccole microstorie, che talvolta ci divertiamo a creare con slancio creativo e talvolta ci limitiamo a spiare, timidamente in silenzio. Qualcuno scriveva che “gli esseri umani sono macchine desideranti”. E’ proprio quel desiderio irrefrenabile, quella curiosità che muove le nostre vite e il spinge il nostro cuore più in alto.

A “Wonderland”, quartiere cittadino frutto della fantasia che sa di periferia urbana, ma che potrebbe essere ovunque, c’è spazio per tutti. Dal portinaio di colore che è costretto ogni volta a ripetersi per farsi capire e che annusa l’aria; la diva della lirica, tra broccati e atmosfere anni ’20, ormai destinata al declino che ricorda i fasti di una vita che forse ha sempre e solo osato sfiorare con la mente da lontano, il cieco che fraternizza e scende a patti con il sarcastico Tristo-mietitore, rendendosi solo conto alla fine del valore delle sue azioni; lo chef stellato disprezzato segretamente dalla madre, tra veganesimo e modi effeminati, costretto a cucinare per l’esigente e famelico cane della madre. C’è anche spazio per l’attrice mancata costretta ad accudire il padre malato tra una lucidata di scarpe e una disperato corsa al cinema (che la ignora); e per una mago mancato, che sognava Houdini, cinico suicida malato d’amore e senza gran talento. E non può mancare la personificazione della morte che, come una sentinella, tiene d’occhio il palazzo, beffandosi del tempo degli umani. Personaggi e storie diverse che non si incontrano quasi mai. Storie così strampalate, bizzarre e surreali, da essere dannatamente reali, normali, quotidiane. Ed è proprio questo carattere universale, che ci fa immedesimare e riflettere.

Oltre alla costruzione precisa e a tutto tondo dei personaggi, ci sono altre caratteristiche che rendono “WONDERLAND”ciò che è: una spettacolo acuto, che scandaglia e mette a nudo il nostro quotidiano e le nostre fragilità umane. Tra queste, sicuramente la scenografia a due piani, che prende ispirazione dal mondo del cinema, e facilità l’immedesimazione nelle storie narrate. Un condominio, sei spazi per sei storie; ogni minuscolo dettaglio è curato con metodo e ci diverte a scovare dettagli. Un po’ come una grande casa della bambole. E qua si capisce il senso del binocolo: perdersi tutta questa meticolosa scelta dei dettagli sarebbe un peccato, dettato dall’incuria. Altra caratteristica fondamentale è il puzzle di suggestioni inserite nello spettacolo: una dopo l’altra si rincorrono citazioni cinematografiche, musicali ma non solo.
Una esempio? Impossibile non notare l’analogia con “la finestra sul cortile” di Hitchcock. Ma si trovano anche Lewis Carol, il Godot di Becket, Spielberg e Kubrick e i geni di casa nostra Tornatore e De Sica, passando per i famosi gamberi del Buba di Forest Gump. Uno splendido montage cinematografico, un carnevale di frammenti, un tributo al talento di chi ci ha preceduto e ha saputo raccontare le sfaccettature dell’animo umano.

A fare da cornice e da seconda voce narrante, si sono due alieni siculi, sperduti nello spazio che seguono da lontano la vicenda, quasi come una telenovela, interpretando dialoghi, gesti e parole, esattamente come potremmo fare noi: con spontaneità, senza davvero capire esattamente cosa sta succedendo. Alieni che in coda allo spettacolo, quando tutte le finestre del quotidiano si sono spente, approdano a Wonderland e incontrano il Tristo Mietitore, che propone loro di giocare una partita a scacchi, eterna opposizione cromatica e concettuale tra vita e morte. Vi ricorda qualcosa? Ecco, bravi: Ingmar Bergman sarebbe fieri di voi.

Wonderland dunque non è solo un puzzle di mirate e splendide citazioni, è anche un elogio a queste vite comunemente speciali, “pasticciate” per così dire, che somigliano tanto alle nostre. Un’esortazione a trovare e a creare il paese delle meraviglie, per contro proprio, guardando tutto come se fosse la prima volta, osservando con curiosità; come suggerisce lo stesso Bollani.
Ma in “Wonderland” c’è anche molto altro … ma non posso dirvi tutto io: ora tocca a voi, uscire di casa, raggiungere Piazza Verdi e divertirvi a comporre ulteriori associazioni; sono certa che vi stupirete anche voi di quanto il vostro cervello possa volare alto e spaziare, sfidando la gravità e i limiti dell’immaginazione.
Su, spegni il computer ed esci subito: perché questo è uno spettacolo a tutto tondo e bisogna vederlo assolutamente. Cibo per occhi, orecchie, mente e cuore.

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