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September 29, 2016

Disappearing into the blind, Werner Gasser

Mauro Sperandio
Memoria e oblio, ricordo e immagine: il nuovo lavoro di Werner Gasser alla ES Gallery di Merano.

Dal 29 settembre al 29 ottobre, la ES Gallery di Merano, ospita “Disappearing into the blind” di Werner Gasser: questo è certo, perchè si trova scritto negli inviti e nella pagina web della galleria.
Da questo fatto, dal comunicato stampa che ho ricevuto, preparo delle domande:

1) Le tue foto diventano ricordi. Che rapporto hai con la memoria?

2) Ogni scatto congela momenti ed aspetti del vissuto, diventando segnalibri nell’album della memoria. Non c’è, però, il pericolo che le immagini impoveriscano la complessità del ricordo?

3) Sei vissuto molti anni lontano dal Sud Tirolo. Cosa risulta dal confronto interiore tra scenario passato ed attuale?

4) Il tuo occhio è allenato a cogliere fatti e situazioni, il tuo lavoro le rende immortali. Come gestisci i ricordi spiacevoli? Che rapporto hai con il dimenticare?

Merano, ES Gallery, via Portici 75. Lunedì 26 settembre, ore 11. Incontro Werner mentre si occupa dell’allestimento della galleria. Come sempre è molto cortese ed entusiasta nel raccontare e spiegare, tanto che non trovo subito l’occasione per porgergli le mie domande. Lui non vuole che lo registri, io decido di non prendere appunti.
Dopo aver parlato a lungo, le domande saranno servite solo a verificare che mi avesse raccontato quando mi interessava sapere.

Quello che leggete lo riesco a scrivere solo giovedì 28, nel tardo pomeriggio.

Gli ambienti della galleria sono stati tinteggiati di grigioscuro.
Lo spazio sembra più angusto.
Alcuni oggetti rendono scomodo il movimento e l’osservazione.
Quelle che convenzionalmente sembrano cornici, fungono in realtà da contenitori.
Da ragazzino, Werner odiava che il padre lo portasse a camminare in montagna.
Suo padre, forse la madre, erano soliti fotografarlo, ogni anno, seduto sempre sullo stesso sasso. Credo che queste foto si presterebbero a comporre uno di quei libretti che si animano sfogliandoli: poche immagini, pochi tratti, permettono di ricostruire una storia che non è la semplice somma degli elementi che la ricordano.
Werner, appena finito il liceo, se ne andò da Merano (ma lui è venostano) con grandissimo piacere.
La sua terra natale gli stava stretta; ora la guarda con occhio diverso. Apprezza adesso quel che un tempo non sopportava.
La storia di F. H., l’uomo senza memoria, non è il tema della mostra, ma il punto di partenza per questo lavoro di Werner.
Il vero protagonista della mostra, a tratti, sembra sopravanzare nelle opere.
Aprire un certo armadio della casa di F.H. è stato come vedere una porta spalancata sui suoi ricordi.
Guardando da vicino, si ha una certa percezione delle opere; questa percezione cambia sostanzialmente allontanandosi. Entrambe le percezioni sono corrette, e vivono allo stesso tempo.
A distanza di giorni, credo di ricordare delle opere la parte più importante.
Le parole “incollate” al muro, all’entrata della galleria, si trovano ad un’altezza che richiede un piccolo inchino, per essere lette fino in fondo. Anche il ricordare, in fondo in fondo, può richiedere un piccolo sforzo.
Werner sottolinea che lui non è un fotografo, ma un artista che si esprime con la fotografia. (mi spiega che i fotografi parlano in continuazione di obiettivi, tempi di esposizione e altre cose del genere).
Ricordo di aver inteso che, in fin dei conti, non è importante la veridicità delle situazioni che si ricordano, ma la verità delle emozioni che abbiamo provato.

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