Culture + Arts > Performing Arts

July 18, 2016

Bolzano Danza e Alessandro Sciarroni portano i bambini a vivere, scoprire ed esplorare il teatro

Anna Quinz

Da qualche anno ormai, Bolzano Danza dedica una particolare attenzione al pubblico più giovane. I bambini non sono solo un “target” per il festival bolzanino, ma soprattutto una preziosa risorsa sulla quale investire per il futuro, della danza, della cultura, della città. E così, da 5 anni a questa parte, Bolzano Danza apre ai più piccoli le porte del teatro che diventa luogo di scoperta ed esplorazione, in cui non solo assistere a spettacoli su misura, ma in cui si può vivere un’esperienza unica lunga una notte intera. “Notte a teatro” è un format innovativo che permette ai bambini di passare una notte intera fuori casa e dentro gli spazi teatrali, di dormire in questo luogo magico e di scoprirne tutti i segreti. La notte tra il 22 e il 23 luglio, dunque, il teatro sarà regno di scoperta e conquista per 15 piccoli esploratori che muniti di torcia e spazzolino da denti potranno muoversi nei meandri del Teatro Comunale di Bolzano. Ad aprire questa notte magica, la performance “Home Alone” di Alessandro Sciarroni che torna per la seconda volta in città con un progetto dedicato ai bambini. Ancora una volta il coreografo porta in scena una riflessione sulla multimedialità e la tecnologia, temi profondamente vicini al pubblico infantile ormai inevitabilmente composto da nativi digitali che con questi strumenti vivono e convivono fin dai primi mesi di vita. Lo abbiamo intervistato e se vi va, genitori, leggete quel che ci ha raccontato e poi riferitelo ai vostri bambini, poi portateli a vedere lo spettacolo e poi ancora, salutateli con la mano e lasciateli lì a vivere una notte di sicuro indimenticabile tra i misteriosi e meravigliosi segreti del teatro.

Alessandro, torni a Bolzano con un lavoro dedicato ai bambini. Viene allora naturale chiederti che rapporto hai, nel tuo lavoro di creazione, con il mondo dell’infanzia.
Questo lavoro è il seguito di “Joseph” un mio assolo del 2010. Quando lavoravo a quel progetto, non avevo mai pensato esattamente di rivolgermi al mondo dell’infanzia. La cosa è nata per caso, quando una programmatrice teatrale lo ha visto e ha pensato che la prima parte potesse essere perfetta per i bambini. Questa cosa mi ha messo la pulce nell’orecchio e ci siamo messi al lavoro. È nato così “Joseph kids” e poi la sua “conseguenza” che porto a Bolzano quest’anno: si chiama “Home Alone” ed in scena c’è una ballerina che balla da sola davanti ad un computer, si tratta di un lavoro creato per il Balletto di Roma. Per me, dunque, dal punto artistico quello con lo spettatore giovane è stato un incontro casuale ma molto interessante. BallettodiRoma_Homealone_foto_MatteoCarratoni (2)Cambia qualcosa, nel tuo processo creativo e coreografico, se sai che stai lavorando per un pubblico infantile?
È una domanda delicata. Nel caso di “Joseph”, in scena c’erano delle immagini proiettate, che arrivavano dal mondo di internet in maniera casuale e quindi ho dovuto proteggere lo spettatore più giovane per questioni di sicurezza. Se avessi avuto la certezza che non sarebbero apparse delle immagini pericolose, avrei lasciato il lavoro esattamente com’era. In pratica, ho solo alzato il livello di sicurezza. Anche in “Home Alone” faccio una riflessione sull’uso della tecnologia domestica. Si tratta di questioni importanti. Diciamo che secondo me, l’unica differenza è che di fronte a una questione controversa, se ti relazioni con l’adulto metti una lente d’ingrandimento sulla questione e lasci le controversie come sono senza sciogliere le domande. Se invece la relazione è con l’infanzia io semplicemente uso un’unica accortezza che penso di dover avere: la protezione. Cerco insomma di tutelare e proteggere i più piccoli da qualcosa che li potrebbe turbare. Per il resto, ho scoperto con piacere che vengono organizzate sempre più spesso rassegne di teatro per bambini o rassegne a loro dedicate all’interno dei festival “per grandi” e – previa preparazione degli insegnati – vengono proposti ai piccoli gli stessi spettacoli che vanno a vedere gli adulti. È stata per me una rivelazione quando a Düsseldorf ci hanno proposto di mettere in scena “Untitled_I will be there when you die” (una performance di Sciarroni nella quale quattro giocolieri-performer lanciano incessantemente in aria delle clavette, ndr) per 500 bambini della scuola elementare. Inizialmente ero preoccupato che potesse non funzionare, non tanto per i contenuti quanto per il ritmo dell’azione che è dilatato e ripetitivo. E invece i giocolieri mi hanno raccontato di essersi sentiti come delle rock star, grazie all’entusiasmo dei bambini e alla positività delle loro reazioni e risposte. Quindi, la trovo una domanda interessante, perché nel tempo ho capito che, una volta che proteggi il bambino, lo rendi parte del processo creativo e costruisci intorno alla presentazione dello spettacolo un evento più grande della mera presentazione, non serve cambiare nulla della creazione.

Quanto conta, per te, costruire attraverso i linguaggi dell’arte – la danza nel tuo caso – non solo i creatori e gli artisti ma anche e soprattutto il pubblico (e gli individui) del futuro?
È importantissimo. Lo sto vedendo con i bambini dei miei amici che fanno il mio mestiere. Questi bimbi fin da piccoli vengono preparati e introdotti alla visione di performance e mostre e arrivano presto a un significativo livello di discernimento. Io personalmente ho iniziato a fare teatro tardi e per caso, e ricordo che non è stata la mia famiglia a farmi avvicinare al mondo dell’arte, andavamo al cinema qualche volta, ma mai a teatro. Le uniche volte che da bambino mi sono avvicinato al teatro è stato con la scuola. Ma questo – dare solo un assaggino ogni tanto – è rischioso, non funziona e anzi può essere controproducente e inutile. In quell’età, se dai l’imprinting culturale con qualcosa che al bambino non piace, poi da adulto capace di scegliere, alla cultura non torni più. Quindi, penso si debba dare ai bambini la possibilità di avere un atteggiamento critico e per farlo serve un lavoro sostanzioso, non i bocconi.

In questo senso, mi piace quel che fa Bolzano Danza che intorno a uno spettacolo di 35 minuti costruisce un evento più grande, con laboratori intelligenti e la notte a teatro. L’idea che sta dietro a questo sforzo, che condivido, è che il teatro va comunicato come uno spazio da vivere, dove succedono delle cose interessanti e coinvolgenti e non come luogo di eventi inaccessibili. BallettodiRoma_foto_ MatteoCarratoni (10)

“Home Alone” è una performance che ragiona sulle e con la multimedialità e le tecnologie. Qual è il tuo rapporto con questi strumenti, in relazione al tuo lavoro, in particolare in questo caso in cui ti rivolgi all’infanzia, così permeabile – in positivo e negativo – a queste innovazioni?
Per me è un tema estremamente interessante visto che ho forti dubbi rispetto a dove siamo arrivati oggi. Non credo che un giorno si tornerà indietro, che non avremo più internet e i cellulari. Quindi ho pensato che con questo lavoro si poteva mostrare come queste cose possano – attraverso la creatività – avere anche una connotazione positiva da mostrare a un bambino. Nel 2010, quando ho creato questo lavoro non era attratto dalla questione dall’idea di un teatro hi-tech, o dall’uso della tecnologia in scena. Nel mio caso la tecnologia quotidiana è il soggetto della drammaturgia, non il medium. Chi lavora ad un idea di teatro inteso come luogo in cui l’evento dal vivo avviene grazie all’uso dei nuovi media e della tecnologia fa un lavoro molto diverso dal mio ed usa una tecnologia che oltre ad essere altissima è anche molto avanzata e complicata. Nel mio lavoro adoperiamo esclusivamente media di uso quotidiano. L’idea è di provare a cercare e trovare un po’ di magia dentro qualcosa che ha sì una tecnologia complessa, ma che è alla portata di tutti. La struttura del lavoro è semplice. Il mio interesse verso tutto ciò è nato quando un amico mi ha parlato del sito web chatroulette.com, nel quale puoi entrare in videochat con un qualsiasi sconosciuto che è online in quel momento, senza poterlo scegliere. Ero rimasto molto colpito e turbato da questa immediatezza: mi affascinava e mi faceva molta paura. È su questa fascinazione che ho costruito lo spettacolo, “Joseph” prima, e “Home Alone” come suo seguito naturale.

  

Nelle immagini: Balletto di Roma, Home alone, foto, Matteo Carratoni 

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.