Music

June 2, 2016

Peter Kutin: sonorità eteree nate da pensieri di sostanza

Mauro Sperandio
Il 3 giugno ad Innsbruck, l'Heart of Noise presenta - tra i numerosi ospiti - Peter Kutin. L'occasione è ghiotta per scoprire, attraverso i suoi suoni, aspetti della realtà incolpevolemente tralasciati...

Peter Kutin è un interessante artista viennese, il suo lavoro  spazia dalla composizione alla produzione musicale, sconfinando nella curatela artistica e nella sound art e concedendosi numerose collaborazioni con svariati artisti in svariati campi…

Peter, nella tua carriera hai lavorato con artisti di svariati campi: quali orizzonti ti hanno mostrato queste collaborazioni?

Ho lavorato per il cinema, il teatro, le arti visive, la radio e la Fine Art, in contesti differenti, come club, esposizioni, festival e in concerti di musica contemporanea.
Credo che la possibilità  di avere una visione d’insieme sul lavoro di altri artisti sia una sorta di privilegio, specialmente quando sei interessato a combinare generi e format, come nel mio caso.

Utilizzi apparecchiature elettroniche per catturare suoni, rumori e fenomeni di origine naturale: in che modo queste macchine possono aiutarci a comprendere la realtà in cui viviamo? Può il loro contributo svelarci aspetti “naturalmente ignorati”?

Dipende se queste “tecniche” ci possono portare ad una apertura della percezione. Un momento in cui ci è rivelato qualcosa che non avevamo mai notato prima.
In generale, posso dire che se realizzo un progetto e questa “rivelazione” non avviene, il progetto non risponderà alle mie esigenze estetiche e artistiche. Posso però dire che, fortunatamente, ogni progetto mi ha sempre rivelato qualcosa di sconosciuto. Credo che l’arte abbia a che fare come il porre e formulare domande ben azzeccate. Non è un compito facile, se lo vuoi fare con precisione.
Per quanto riguarda le apparecchiature elettroniche, esse ci aiutano ad espandere i nostri sensi e spesso funzionano come protesi per i nostri organi di senso. Abbiamo delle chiare limitazioni nella comprensione del mondo che ci circonda. Da un lato siamo molto concentrati su una fetta della realtà e dall’altro siamo decisamente incapaci di avere una visione chiara su tutto il resto. Percepiamo solo una piccola e limitata parte di ciò che sta accadendo. Questo è il motivo per cui sono così interessato a queste “protesi”. Esse possono portare ad altri livelli di conoscenza di questa ‘realtà’ o qualunque cosa essa sia.

Che rapporto hai con la creatività e l’ispirazione?

E’ difficile da dire. È come se dovessi oscillare, assecondandomi, tra fasi ispirazione e produzione. A volte queste fasi corrono parallele, altre volte devono essere tenute distinte.

Che rapporto hai con il silenzio?

Il silenzio è per me una costruzione mentale, che non esiste in termini fisici. Se la tua testa è leggera, cioè non bombardata dai pensieri, ti trovi in una sorta di silenzio. Il silenzio è anche qualcosa che ha a che fare con l’attesa, con le cose e i processi che abbiamo imparato e a cui siamo abituati.
Pensa alla sensazione che si prova quando si sale su una scala mobile rotta, che non si muove. I primi due o tre passi provocano una sensazione molto strana, perché  conosciamo esattamente cosa si prova ad essere trasportati da una scala di quel tipo mobile, ma non troviamo il riscontro atteso. In quel momento il nostro cervello viene ingannato. Qualcosa ci ha privato di una sensazione importante, che ci è familiare ed è memorizzata molto bene nel nostro cervello, che comunica al sistema nervoso somatico cosa deve provare, ancor prima di trovarsi in quella determinata situazione.
Quando Cage ha eseguito il suo celebre 4’33”, l’effetto deve essere stato simile. La gente è stata abituata per secoli ad ascoltare il suono del pianoforte e lui che fa? Silenzio.
Ultimamente, il dimenticare, o meglio il il “disapprendere”, sono diventati per me sempre più interessanti. In qualche modo penso al silenzio in questo senso. Sai, il silenzio non ha per me una valenza musicale, ma piuttosto psicologica. In termini musicali, preferisco parlare di dinamiche.

Foto: Peter Kutin

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