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April 18, 2016

Handkerchief: non-rivista interessante, sfortunatamente utile

Mauro Sperandio

Una non-rivista nata da un progetto universitario si occupa del tema dell’identità sessuale e dell’omo-transfobia, raccontando storie e vite, circostanze scritte nel libro della storia e incarnate in vite più o meno celebri. Di questa non-rivista ho chiesto di raccontarci alla non-redazione, auspicando che, vista la rilevanza del tema, si trovino presto disoccupati…

Handkerchief è giunto alla sua terza uscita, le cinquecento copie stampate sono andate presto esaurite e l’edizione on-line gode di un ampio pubblico. Ma di cosa parla Handkerchief?

Handkerchief affronta il tema dell’identità sessuale, ma lo fa in modo collaterale, facendo sì che il discorso non verta tanto sull’orientamento o l’identità di genere di per sé, ma su realtà, circostanze storiche e personaggi che ci ricordano che la sessualità è una componente importante ma solo parziale di una persona, interconnessa con una miriade di altri aspetti. Possiamo quindi dire che Handkerchief è una raccolta di storie, raccontate attraverso una molteplicità di linguaggi e contributi visivi per sensibilizzare su un tema delicato, quale quello dell’omo-transfobia. Ci è sembrato più opportuno parlare di persone e di storie che non di fenomeni o concetti che rischiano di essere percepiti come distanti, marginali, o peggio, sensazionalizzati da chi legge. L’idea che ci piacerebbe comunicare è che le tematiche queer non sono minoritarie o eccezionali ma appartengono a tutti, hanno a che fare con il quotidiano di molti di noi, soprattutto in una società in cui è ancora difficile parlare della propria sessualità con la famiglia, i colleghi, gli amici. 

Handkerchief

 La vostra non è una rivista, potrebbe diventarlo?

Handkerchief nasce come progetto universitario e in questo senso ha goduto della libertà progettuale che l’ha resa tale. Non è una rivista perché, a parte l’aspetto grafico e contenutistico, non si comporta come tale: non ha una redazione strutturata, un editore, una distribuzione o una periodicità fisse. Questo aspetto il terzo numero lo evidenzia bene sin dalla dichiarazione in copertina. Ci piace pensare che la volontà di portarla fuori dalle mura di Urbino possa farla arrivare a essere una rivista vera, ma per il momento è una domanda legata a questioni legali e burocratiche. 

 Quando un qualsiasi progetto vede la luce, si è soliti augurare lungo e crescente successo. Credete che sia auspicabile una futura “inutilità” di Handkerchief? A quali condizioni?

Gli articoli e le interviste che presentiamo nei vari numeri sono anzitutto aneddoti e storie che ci hanno colpiti perché rappresentano un modello di riscatto o un episodio storicamente dimenticato. Quello che li accomuna è la sfera LGBT di riferimento, tuttavia quello che cerchiamo di fare è sensibilizzare su questi temi trattandoli in rapporto ad altri per espandere il pubblico, includere gli eterosessuali, incuriosirli ed informarli. In questo senso Handkerchief rimane, al di là delle tematiche trattate, una raccolta di storie che ha ragione di esistere anche in assenza delle forme di discriminazione che ci auspichiamo cessare.

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A quelle condizioni, “Un discorso sulle sessualità” manterrebbe comunque il suo valore quale esercizio di consapevolezza? Oppure pensate che il tema diventerebbe un aspetto naturale e integrato nel vivere comune e dunque non meritevole di una rivista?

In questo possibile scenario futuro il discorso manterrebbe, se non altro, un valore legato al passato, a un percorso svolto e di cui vale la pena ricordare le tappe, i vacillamenti, le conquiste. Il passato racconta molto di quello che siamo poi diventati. Se un giorno avremo una società largamente libera da discriminazioni e in cui ognuno potrà vivere la propria sessualità senza paura e con naturalezza, riteniamo che vorremo ricordarci come ci si è arrivati, e continuare per questo a parlarne, mostrando come questi percorsi abbiano formato e informato la nostra cultura e identità.

 Ho una curiosità personale che, spero, grazie a questa vostra esperienza, mi possiate togliere.
Non riesco a capire l’interesse della gente per la sessualità altrui, al di fuori delle questioni relative al corteggiamento, per contingente e puntuale interesse… È qualcosa che riguarda il bisogno di crearsi un “altro e differente”?

La ragione per cui esistono progetti che discutono di sessualità è proprio quello di far comprendere come le sfumature di questa siano per loro natura molteplici e che per questo non è giustificabile discriminare un individuo perché il suo essere non si allinea con quello della maggioranza. Diverse persone che hanno problemi nel relazionarsi con la natura complessa della sessualità della gente tengono quindi a porre paletti e a volersi mostrare “diverse e altre” rispetto alle persone più apertamente bisessuali, omosessuali, transgender… Manifestare allora repulsione verso la sessualità di queste persone è un modo per non sentirsene “contagiati”, quando in realtà un contagio non c’è, e anzi, non c’è alcuna differenza con quelle persone “altre”.
Certo un aspetto a questo strettamente connesso, trattandosi di un tema anche politico, fa sì che diverse persone facciano della propria sessualità un punto cardine dell’espressione della propria identità tout court: anche per le persone queer il mostrarsi “altri e differenti” può essere un modo per rivendicare il proprio diritto a essere sé stessi.

Ritenete che il disinteresse per la sessualità di chi ci sta attorno possa essere una conquista?

Proprio per quello che dicevamo prima, crediamo di sì. O meglio, l’interesse dovrebbe idealmente riguardare quasi soltanto le questioni prima menzionate, come quella contingente del corteggiamento, per appurare la compatibilità con potenziali partner, o quella culturale del fare il punto sul “da dove siamo arrivati e come” a una società in cui si possa finalmente vivere spontaneamente e senza disparità.

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 Handkerchief è definito come “Progetto di approfondimento culturale che si pone come obiettivo la sensibilizzazione e la promozione di un discorso sul tema dell’omofobia, della transfobia e dell’identità sessuale.” Leggendo i tre numeri usciti fino ad oggi, non trovo nulla riguardo l’identità eterosessuale. Non è rischioso considerarla scontata e non meritevole di attenzione?

Handkerchief è un progetto che vuole sensibilizzare sul tema dell’omofobia e della transfobia attraverso la narrazione di storie, senza entrare nello specifico delle diverse identità sessuali. Non parliamo di eterosessualità non perché la consideriamo scontata, ma perché  riteniamo che sia già ampiamente riconosciuta e tutelata. Raccontare esperienze eterosessuali non aggiungerebbe nulla al dialogo sul tema e non incentiverebbe il cambiamento che il nostro lavoro si propone.

I fatti e i personaggi storici e contemporanei da voi raccontati credo siano di interesse assoluto, proprio perché parte della vita di questo e non di un altro pianeta. Cosa vi sentite di dire a chi Handkerchief non ha ancora letto?

Ci piacerebbe invitare i nostri lettori (non-lettori?) ad avvicinarsi alla nostra non-rivista per tentare con noi una riflessione non banale sul tema dell’identità sessuale, per conoscere aneddoti e personaggi che hanno fatto storia e cultura pur essendo esclusi dai modelli di sessualità e genere predominanti. Il nostro tentativo è quello di mostrare situazioni e persone a tutto tondo, a cui provare a rapportarsi umanamente in quanto tali, e non solo per i vissuti legati alla propria identità sessuale. Non è un caso che Handkerchief sia stata pensata per una fruizione murale, collettiva: una lettura pensata per aprirsi, per entrare in contatto con quante più persone possibili.

 Nella mia città non c’è nessuna non-edicola, dove posso trovare la vostra non-rivista?

Per chi fosse curioso di conoscerci tutti i numeri possono essere letti anche online sulla nostra pagina Issuu. Gli sviluppi del progetto possono essere seguiti sulle pagine web  e Facebook di Handkerchief.

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