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February 17, 2016

Berlinale italiana?

Cristina Vezzaro

Fuocoammare, lo spettacolare film-documentario di Gianfranco Rosi, nasce verso la fine del 2013 con l’intento di lasciare una traccia del dramma che sta segnando il Mediterraneo. Incerto sulla forma da dare alle riprese, bisognoso di sentire una terra prima di poterla raccontare, Rosi ringrazia in conferenza stampa la produzione per avergli lasciato il tempo di crescere insieme alla sua idea.

È così che dai dialoghi con il medico Pietro Bartolo, lampedusano che da vent’anni assiste i rifugiati che sbarcano sull’isola, Rosi poco a poco si addentra nella storia di alcuni sbarchi che raccontano in realtà le vicende di migliaia di rifugiati in cerca di una vita in Europa. E di storie, il dottor Bartolo, ne ha viste tante. “È dovere di ogni essere umano che si dica tale aiutare queste persone”, spiega nel film, proprio lui che di persone ne ha aiutate tantissime, e ne ha viste morire tantissime. “Bambini, donne… ogni volta che mi chiedono di parlarne rivivo il dolore di tutti quei corpi morti, ma ogni volta accetto di farlo, perché il mondo deve sapere”. E se tragedie come quella dell’Olocausto sono avvenute senza che il mondo ne fosse pienamente a conoscenza, ora nessuno può dire di non sapere cosa stia accadendo, e abbiamo l’obbligo di arrestare questa mattanza, intervenendo nei Paesi da cui provengono tutti questi rifugiati.

L’occhio dei lampedusani è affidato al piccolo Samuele Pucillo, un dodicenne che per l’isola si muove con la libertà dei ragazzi del posto, costruendo fionde, esplorando casolari abbandonati, trattando la scuola come un’occupazione quasi secondaria. L’“occhio pigro” che gli diagnostica il dottor Bartolo diventa una perfetta metafora per chi si abitua a vedere persone stipate sui barconi, morti ammassati nelle stive, soffocati da gasolio e calore insopportabile.

E il resto dei lampedusani? Sembrano continuare a vivere la loro vita adattandosi alle terribili notizie dei telegiornali. Rosi li ritrae attraverso la radio, che annuncia continui sbarchi e morti, con il commento di una donna anziana che ne compiange le disgrazie per poi telefonare e richiedere vecchie canzoni siciliane da dedicare con amore al marito. Fuoco Ammare, ad esempio. La vita sospesa tra massacri e normalità.

Tra il siciliano e le tante lingue si incrociano, in questa striscia di terra più vicina all’Africa che all’Italia, le tante umanità che si stanno incontrando in questi anni, e il grande merito di Rosi è la capacità di ritrarne con distacco e partecipazione la quotidianità, caratterizzata da pratiche di accoglienza oramai consuetudinarie che mai si abituano però alle condizioni disumane in cui versano le persone che arrivano.

Il film-documentario di Rosi tratta naturalmente un tema di grande attualità, cui è dedicata addirittura l’intera selezione di film della sezione Generation Kplus della Berlinale di quest’anno. Per questo, oltre che per il sicuro valore artistico, ci pare di poter affermare che non mancheranno riconoscimenti a questo film.

Foto: Berlinale

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