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January 26, 2016

Ciliegie: parole d’autore con Paul Thuile

Mauro Sperandio
Parole, immagini, sensazioni si susseguono le une dopo le altre. Artista chiama artista, come ciliegia segue a ciliegia.

Ad inaugurare questa rubrica è Paul Thuile: illustratore, designer, curatore d’arte e molto altro; uomo di grande acume, cortesia e disponibilità, Thuile sembra uscito dai suoi disegni.

Paul, nelle tue opere convivono disegno e fotografia. Ritieni che le due tecniche abbiano pari dignità, oppure esiste una subordinazione ed una primazia?

Non penso che ci sia una tecnica superiore all’altra, la mia è una ricerca sulle possibilità delle due tecniche. Il disegno mi permette di riprodurre la geometria dell’ambiente, attraverso una vista quasi fotografica dello spazio. La fotografia, in un secondo momento, mi permette di rendere altri aspetti, altre sensazioni dello stesso spazio, mostrandomi il colore, le tracce della vita che c’era in questi spazi, il “gusto e il profumo” dell’ambiente. In questo modo le funzioni delle due tecniche sono quasi invertite; normalmente, infatti, la fotografia ci fa vedere la realtà per quel che è. Possiamo dire che nel mio lavoro mi piace mettere alla prova le capacità di trasporto di informazioni delle due tecniche.

Il tuo tratto e la particolare resa prospettica rendono presto identificabili le tue opere; quali accorgimenti adotti nella fase di disegno?

Quando disegno sono molto vicino ai soggetti che ritraggo; mi posiziono quasi come fossi un insetto posato sul muro, avvicinandomi molto alla parete. Da questa prospettiva la realtà appare leggermente distorta, come se fosse vista con un grandangolo. A chi mi chiede il perchè di questa distorsione rispondo che questa è la realtà che vediamo prima che il nostro cervello e la nostra esperienza la filtrino e la correggano. (si avvicina allo stipite della porta, come se volesse origliare e mi indica lo stipite) Questa linea non la vediamo retta, bensì curva; solo l’esperienza ci fa affermare che si tratta di una retta. Quando fotografiamo un campanile, ci accorgiamo che le le linee convergono, se guardiamo distrattamente l’ora, vediamo il campanile composto di linee rette.

Museumstrasse 24, 2010

Come sei giunto a vedere il mondo secondo questa prospettiva, o meglio, come sei tornato a questa visione “naturale” ed alla sua rappresentazione?

Non c’è stato uno studio teorico, ma vi sono arrivato attraverso la pratica. Nasco come fotografo, non come disegnatore. Quando mi sono iscritto all’Accademia sono stato “costretto” a disegnare e ho fatto molta fatica ad apprendere la tecnica. All’epoca non c’era nessuno disposto ad aiutarmi, questa è stata forse la mia fortuna, perchè mi ha permesso di trovare la mia personale via. Ho provato e sudato fino a giungere “per caso” a questa percezione della realtà. I primi disegni fatti in questo modo nascono casualmente. Ho abitato per un periodo a Vienna in un appartamento a cui ero particolarmente affezionato; quando mi capitò di doverlo lasciare in soli tre giorni, volevo ritrarne gli ambienti e gli arredi, ma non avevo però con me una macchina fotografica. Mi sono messo allora a disegnare stanze e mobilio, rendendomi conto che la dimensione domestica mi permetteva di esprimere nel miglior modo il mio tratto, facendo così fiorire il mio stile.

Molti degli ambienti da te ritratti sono costruzioni disabitate, in procinto di essere demolite o comunque caratterizzate dall’aver ospitato vite e storie. Cosa cerchi in questi spazi?

Il mio interesse non è per lo spazio in sè, non mi interessano gli spazi vuoti. Sono interessato allo spazio vissuto, alle tracce lasciate da chi quei luoghi ha abitato. Gli aloni intorno ad un interruttore che qualcuno accendeva e spegneva ogni giorno, l’ossidazione che scurisce i margini di uno specchio sono i dettagli che voglio rendere.
Dall’altro lato voglio indagare sul processo intimo della percezione. Negli ultimi anni ho disegnato in spazi non destinati alla demolizione, ma in musei e mostre, luoghi in cui i miei disegni spariranno dopo la mostra.

Perdonami la semplificazione, ma di fatto la tua attività è accostabile a quella del “graffitaro”, che esprime la sua creatività disegnando sul muro, come anche alla pittura parietale preistorica. Immagino che l’ispirazione nasca in maniera non controllata, mi chiedo se non ti venga mai la tentazione di disegnare dove non si può…

Il disegnare sulle pareti ha una componente fisica molto forte; pensi ai bambini come amano disegnare sui muri. Credo ci sia un piacere arcaico, che provo fortemente anch’io. La parete imbiancata, quasi liscia, è ideale per la matita, la sensazione provata mentre disegno ha una componente sensuale molto forte.

Pater Buehel, 2015

Come è nata l’idea di usare il muro come supporto per il disegno?

L’idea di disegnare sul muro è nata per caso. Un amico mi aveva informato che avrebbe di lì a poco lasciato l’appartamento in cui viveva. Mi sono offerto allora di disegnare direttamente sulle pareti. Visto il risultato apprezzabile, organizzammo quindi una mostra in questo appartamento, ricevendo una cinquantina di amici. Sarebbe stato un peccato lasciare che i disegni andassero persi, decisi allora di fotografarli. In quel momento mi accorsi che stava succedendo qualcosa di speciale e che l’opera si completava con la fotografia. Nella composizione dell’opera è quindi importantissima la scelta dei due punti di vista: quello del disegnatore e quello del fotografo. La somma dei due, mi permette di mostrare cosa c’è dietro un angolo, oltre una porta.

Si potrebbe dire che le tue opere siano “più che tridimensionali”?

Sì, perchè tra la realizzazione del disegno e quella della fotografia passa del tempo, un tempo che si percepisce nell’identità della rappresentazione nel suo complesso.

Potrebbe funzionare anche se nel tuo campo visivo ci fosse una persona?

No, perchè il soggetto potrebbe muoversi tra i due momenti, facendo perdere naturalezza all’insieme. Costringere il soggetto a stare fermo sarebbe innaturale e questo risulterebbe nella rappresentazione.

I soggetti delle tue opere sono ambienti chiusi, spazi di lavoro o domestici. Che rapporto hai con la tua casa?

Sono molto affezionato alla mia casa e mi piace viverci e viverla. Ho tanti spazi di lavoro, ma non ho un atelier tradizionale: tutta la casa è un luogo di lavoro. Ho un’officina per il legno, per il metallo, ma non c’è un posto privilegiato per le mie creazioni. Ho svariate macchine utensili e strumenti, ognuna mi ha aperto un mondo, permettendomi di inventare e costruire. Amo molto l’artigianto e il lavoro manuale e riconosco a queste attività la capacità di formare in maniera egregia il modo di pensare.

Come gestisci il suo tempo tra tante attività ed interessi?

Spontaneamente ti direi che vivo parellalemente cinque vite: disegnatore, designer sperimentale, cuoco provetto, laureato in informatica e docente [unibz Faculty of Design and Art, n.d.r]. Credo che ogni esperienza fatta, se vissuta in maniera approfondita e seria, faciliti e arricchisca ogni nuova impresa che si affronti.

paul thuile

Come vedi la attività di curatore?

Come curatore devi essere soprattutto un bravo organizzatore, dovendo far funzionare in modo armonico numerosi fattori diversi. Questo saper organizzare l’ho imparato dalla mia mamma, che sapeva gestire la casa, la cucina e la famiglia alla perfezione. Credo di avere la dote di saper portare dei pensieri in un sistema logico, organizzato.

Non trovi che l’attività di curatore sottragga del tempo alla sua opera di artista?

Non credo. L’attività di curatore è un lavoro che mi permette di sostenere la mia attività artistica; lavorare con altri artisti, poi, mi permette di imparare moltissimo: è molto interessante scoprire come pensano e vedono la realtà le persone con cui mi trovo a lavorare.
Mi piace poi pensare che, come artista, posso aiutare altri colleghi nel posizionamento delle opere in una mostra, ad esempio. Nel vecchio Museion ho lavorato come allestitore di svariate mostre e mi sono occupato -cosa poco nota – anche di alcune piccole collezioni private.

Nelle tue opere  accosti linee morbide – quasi liquide – ad elementi rigidi e rettilinei, disegni e fotografie, mettendo a confronto ciò che si vede con ciò che è. Non credi che questa operazione possa risultare impietosa?

La mia intenzione è di mettere a confronto queste due tecniche e sovvertirle: il disegno morbido prende il compito della dura fotografia e viceversa, la fotografia è sfocata e ha solo come compito di trasmettere l’odore dell’ambiente. È quasi violento, è vero.

C’è un artista sudtirolese che mi consiglieresti per una prossima intervista?

Sì, Christian Reisigl. Gli riconosco una dedizione, una costanza ed una serietà nel lavoro che sono rare.

Cosa ti piacerebbe chiedere a Reisigl?

Christian, il tuo lavoro è contemporaneo e pure molto originale. Come fai a resistere alle tentazioni di mode e correnti?

Photo: Courtesy of Paul Thuile.
1) Johann Georg Plazer Strasse 22-24, 2009
2) Museumstrasse 24, 2010
3) Pater Buehel, 2015
4) Obstplatz 14, 2007

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