Food

October 2, 2015

De gustibus Connection #21: Herbert Hintner, Zur Rose, San Michele Appiano

Mauro Sperandio
De gustibus connection è una violazione della proprietà (intellettual-culinaria) altrui, un auto-invito a pranzo da chi sa cucinare davvero, un rapido interrogatorio senza la presenza di un legale, una perquisizione senza mandato tra mestoli e padelle. Oggi siamo allo Zur Rose di San Michele di Appiano, un ristorante moderno che vede in cucina Herbert Hinter, fine conoscitore della tradizione, sperimentatore ed innovatore sempre moderno.


Mauro Sp:
Pronto? Ciao Herbert, sono Mauro. Stavo rileggendo il testo della tua intervista e non mi veniva in mente nessuna storia per ambientare il nostro dialogo.

Herbert Hintner: Sei a corto di idee?

M: In realtà un’idea mi è venuta in mente, più che una situazione, le tue parole mi hanno fatto venire in mente un oggetto, uno di quegli orologi ricchi di complicazioni…

H: Complicazioni non suona molto bene…

M: No, no, nel gergo dell’orologeria le complicazioni sono tutte quelle indicazioni e funzioni che vanno oltre a quella di mostrare l’ora. Tutti quei meccanismi che rendono l’orologio più utile e più bello.

H: Spiegati meglio…

M: Al tuo ristorante, lo Zur Rose, ti occupi di pranzi e cene, due riferimenti temporali importanti nella giornata, ma andiamo oltre le ore e guardiamo i giorni: ci sono quelli di lavoro e quelli riposo. Dei giorni che non spendi al lavoro mi dici che…

H: Nel tempo libero vado in bicicletta e faccio lunghe escursioni in montagna con i miei amici.
Durante questi momenti il mio cervello si libera dei pensieri che si accumulano durante la settimana, mi dà tranquillità e aggiunge qualità alla mia vita. Mi piace leggere, andare a cena fuori e amo il Meridione d’Italia e la sua cucina. Nelle due settimane di vacanze estive mi metto alla ricerca dei sapori del Mediterraneo visitando un gran numero di locali che vanno dalla trattoria al ristorante stellato.

M: Ma andiamo oltre i giorni e le settimane, e arriviamo ai mesi. Nel nostro incontro, quando ti ho chiesto di parlarmi di un tuo piatto, hai introdotto l’argomento legando il piatto al mese di settembre, a questo ponte tra due stagioni, dicendomi che…

H: La cucina sta entrando nei gusti di terra, i prodotti regionali che crescono sopra la terra finiscono e arriva il momento di castagne, tartufo, farina di pera secca e segale. Sicuramente devo farti assaggiare un piatto di ravioli fatto con farina di pera secca e formaggio grigio: rispecchia la tradizione e la  rivisita. Un vino da abbinare a questo piatto? Un Gewürztraminer, senza dubbio. Sai, la farina di pera secca ha una lunga tradizione in Alto Adige, era lo zucchero dei contadini di 600 anni or sono. Se giri per la nostra provincia, trovi sempre un albero di questo frutto davanti ai masi, fino ai 1300 metri di altitudine, proprio per questo scopo. Con grande fatica siamo riusciti a riprendere questo antico procedimento ottenendo un ingrediente piacevole e particolare. Mi piace questa similitudine, ma che aspetto avrebbe il quadrante del mio “orologio culinario”?

M: È un orologio fatto su misura, con un’identità, colorato. Me lo figuro grazie alle tue parole…

H: Quando un cliente entra nel mio ristorante voglio per prima cosa fargli sentire l’identità del territorio in cui si trova, questo per me fa parte dell’arte culinaria.
Il piccione si mangia in tutto il mondo, certi prodotti di nicchia, un numero limitato, si trovano solo in questo territorio. Dopo i ravioli, continuiamo con la verdura, ti propongo delle radici invernali di diversi colori, ricavate da semi antichi che abbiamo recuperato e affidato ad un contadino che lavora per noi. Se vieni da me, trovi le carote blu, gialle e bianche, sapori simili ma diversi, che vestono i bellissimi colori dell’autunno. Condiamo queste verdure con le mandorle di terra (Cyperus Esculentus). Si tratta anche in questo caso di un prodotto molto antico, già mille anni fa questo prodotto veniva tostato e usato come caffè, ha un gusto sorprendente, che non assomiglia ad altro, una grande soddisfazione.
Questi prodotti ed i miei piatti nascono grazie ad una sinergia armonica tra il contadino e me, lui produce ed io devo trasformare in un piatto. Se non sono informato sul prodotto, sulla sua proveninenza, sulla sua crescita e sulla sua stagionalità faccio fatica a creare un piatto che mostri questa sintonia.

M: Penso a questo tuo orologio come ad un sistema raffinato, ma non kitsch…

H: Il vero lusso del futuro è la semplicità, che è la cosa più difficile. Se sto preparando un piatto con prodotti di grande qualità e carattere, non serve mettere nel piatto cinquanta ingredienti per stupire il cliente. Il palato guida il cliente. Sta mangiando qualcosa che piace, che dà un alta visione della cucina regionale? Allora ho fatto bene il mio lavoro, ho fatto arte culinaria. Non è arte fare le spumette, le creme, mettere cinquanta elementi su un piatto, questa è cratività, che può essere anche piacevole. Il mio obiettivo, però, è far cantare il prodotto al massimo del suo potenziale.
Andare oltre gli standard dei ristorante stellati, proporre qualcosa di diverso, anche a rischio di non incontrare sempre il gusto di tutti; penso al formaggio grigio, particolare per odore, sapore e consistenza.

M: Come accolgono i tuoi clienti la tua voglia di sperimentare?

H: Lavoro da 42 anni in cucina, sono al Zur Rose da 33 anni, e “stellato” da 20, la gente mi conosce. C’è chi viene al ristorante per farsi stupire, c’è invece chi ha delle conoscenze culinarie ampie e si lascia guidare con facilità. I clienti più difficili sono quelli che non frequentano abitualmente questo tipo di ristorazione e si fissa sui piatti che conosce, come manzo, vitello, branzino, e magari è abituato a gusti distorti dall’uso di glutammato ed altri insaporitori. Quando entri in contatto con una cucina che propone sapori veri, la cosa può lasciare questi clienti straniti. Ci capita sempre più spesso di doverci confrontare con palati manipolati dall’industria alimentare.

M: Può questo orologio non avere una suoneria? Certo che no! Diciamo che si tratta di una suoneria a carillon complessa come una banda musicale; me ne hai parlato quando ti ho chiesto quali sono le tue fonti di ispirazione, e così torniamo ancora alle stagioni.

H: La creatività ha i suoi ritmi, ogni persona è creativa, basta saper riconoscere in che momento questa creatività si attiva.
Il mio momento creativo è influenzato da tre fattori: il primo è lo spirito del tempo in cui vivo, sento con forza in me il carattere delle stagioni. Mi spiego, il gusto di primavera è quello della clorofilla, il trionfo del verde, la terra che si apre, le prime piante che crescono. Il gusto d’estate è pieno di sole, dolce, amabile, fresco, l’acidità perfetta in equilibrio con gli zuccheri. In autunno la terra si ferma, si chiude, allora togliamo tutte le radici che sono cresciute, il gusto è di terra. Pensa al sapore di castagne, amaro e dolce: si percepisce che sta finendo l’anno. In inverno sono rimaste poche cose; il gusto della cucina invernale è quello della fermentazione; mi vengono in mente i crauti, il cappuccio, le radici in agrodolce. Abbiamo raccolto i magnifici prodotti che l’estate ci ha offerto e li abbiamo messi da parte per l’inverno. Queste sensazioni, questi gusti aiutano molto la mia creatività.
Il secondo fattore creativo si verifica quando devo fare lunghi viaggi in auto, quando viaggio ascolto la musica con cui sono cresciuto, la musica folkloristica -che mia moglie Margot non ama molto, devo ammettere-. Questa musica, che è nella mia anima e queste linee melodiche che si ampliano e armonizzano, mi aprono un mondo di felicità, di tranquillità. Poniamo sia estate: mi viene in mente un fungo, rimango su questo tema e lo amplio e magari nasce nella mia immaginazione una pralina di patate con funghi porcini e burro nocciola. Quando il piatto è creato nella mia mente, vado in cucina e illustro il piatto ai miei collaboratori, poi inizio un lavoro teso a valorizzare il prodotto al massimo.
Il terzo fattore è l’ispirazione, vado a mangiare dai colleghi, vedo qualcosa che mi piace e la trasformo secondo la mia personalità di cuoco.

M: Sei molto legato alla tradizione, alla tua terra, e sei allo stesso tempo uno sperimentatore, c’è qualche piatto semplice ed intoccabile perchè “già perfetto”?

H: Sono cresciuto ascoltando musica altoatesina e mangiando canederli, non potrò mai dimenticare il gusto impareggiabile di quelli della mia cara mamma. Quando ero un giovane apprendista di cucina in un albergo ristorante in Alta Badia, nel primo mese in cucina, rimasi folgorato dalla lasagnetta alla bolognese, ne avrei potuto mangiare a tonnellate, tanto era buona. Di tanto in tanto la preparo per me con scarti di manzo, vitello e maialino; nei ristoranti stellati si fa solo per prenotazione, e quando qualche cliente, che mi segue già da trent’anni, mi chiede la trippa, i canederli, una spalla di agnello, so come prepararli e mi fa piacere farlo. Anche un piatto banale come l’arrosto, se la carne è scelta con cura, frollata in casa nel modo giusto, cucinata in modo perfetto, dà grandi soddisfazioni.

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