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September 23, 2015

Be-Diversity al Muse: La biodiversità a livello internazionale

Veronica Saggiorato

In seno a Be-Diversity, l’esposizione di arte contemporanea curata da Stefano Cagol presso il Muse, si è svolto sabato 19 settembre un interessante incontro con l’artista peruviano Jota Castro e Alessandro Castiglioni, critico d’arte e curatore del museo MAGA.

foto Veronica Saggiorato

Nel rompere il ghiaccio, Alessandro Castiglioni ha presentato la mostra come una foglia dell’albero della vita dell’Expo caduta un po’ più lontano. Sebbene Castiglioni ritenga che l’Expo sia un “carcere dell’esperienza”, cioè un luogo che presenta parecchie fonti per riflettere anche se è essenzialmente commerciale, e l’icona dell’evento sia “un porta-frutta fatto di legno con un’anima di metallo e qualche fiore di plastica”, l’albero della vita resta il simbolo per eccellenza di ogni cultura. Le radici dell’albero affondano nella nostra Terra e i suoi rami si allungano verso il Cielo: un’immagine tanto semplice e tanto ricca di significato allo stesso tempo, che racchiude in sé un carattere di tipo storico-antropologico, politico, biologico ed ecologico. E così Be-Diversity illustra a modo suo questo intrinseco legame tra uomo e Natura, inscindibile e necessario, anche se riproducibile attraverso la moderna tecnologia.
L’intervento di Jota Castro invece ha mostrato come l’arte, di solito considerata fine a sé stessa, possa risolversi in un testamento culturale di una specifica popolazione, dunque “parlare”, comunicare allo spettatore non più solo i sentimenti dell’artista, ma di un’intera società, senza guardare all’interesse meramente commerciale che spesso sta dietro le opere d’arte.
Discendente di una famiglia ebrea emigrata dall’Italia e giunta in Sud America, legato tanto alla tradizione peruviana quanto a quella familiare, si sente comunque “europeo”, termine col quale Castro definisce un uomo che ha la possibilità di non essere competitivo, ma comprensivo, capace di cambiare assieme ad un Mondo in continuo sviluppo. Ma uno sviluppo eccessivo, troppo rapido e avventato, non è sempre positivo e visto di buon occhio. Il recente Boom peruviano, merito dello sviluppo dell’industria mineraria, ha portato il “polmone verde” della Terra a non essere più tanto verde. Castro ha così deciso si utilizzare alcuni appezzamenti per realizzare un museo dove salvare la naturalezza del Perù: un’immensa opera d’arte tutta al naturale dove racchiudere e conservare quel mondo che sembra volare via, ma che rientra nell’albero vitale che fa girare il Mondo.
A quello che ci dà la terra è incentrata anche la mostra Be-Diversity, che prende il nome, come spiega il curatore Cagol, da un simpatico gioco di parole. Il tema centrale è la biodiversità in tutte le sue sfacettature e proprio per lasciare spazio a riflessioni di ogni genere si è voluto dare al visitatore la possibilità di essere diversità (be diversity in inglese), cioè poter pensare l’impensabile. Questo è quello che hanno fatto Oliver Ressler, Khaled Ramadan, Åsa Sonjasdotter, Avelino Sala, Christian Jankowski, Wim Delvoye, Giancarlo Norese.

Foto Veronica Saggiorato

Leave it in the ground (Lasciatelo nel terreno) (2013) di Oliver Ressler è un video che propone un approccio critico all’ecologia concentrando l’attenzione sull’influenza dello sfruttamento del mare e dei giacimenti di petrolio sulla pratica della pesca. L’opera, in anteprima in Italia nella sua versione sottotitolata in italiano, è stata ospitata quest’anno anche al Tromso International Film Festival (Norvegia).
Sul tema dell’acqua si concentra anche il video (2015) dell’artista libanese Khaled Ramadan, che riflette sui comportamenti delle comunità culturali legate alla natura e, quindi, influenzate dai suoi cambiamenti, come i pescatori cambogiani Cham, una minoranza musulmana, ripresi nell’ambito della loro quotidianità.
Åsa Sonjasdotter, che nel 2014 ha vinto il premio COAL per l’arte ambientale, con The Order of Potatoes (L’ordine delle patate) (2015) ha fatto crescere, sotto gli occhi del pubblico in visita al Museo, particolari varietà di patate vietate all’interno dell’Unione Europea per la circolazione commerciale nel giardino che circonda il Muse e il cinquecentesco Palazzo delle Albere. Queste verranno raccolte e cucinate dal curatore Cagol durante la Notte dei ricercatori del 25 settembre e potranno essere assaggiate intorno alle 18 da chiunque voglia provare una qualità di patata non più commercializzata perché fuori dagli standard.
La cultura fa mangiare? È questa la domanda che Avelino Sala pone al visitatore attraverso il suo video, dove mostra un gruppo di cani che si ciba letteralmente della parola CULTURE (cultura) (2008). Interessante notare come questa opera rispecchi perfettamente il mondo italiano, ricco di meraviglie artistiche e culturali: potremmo effettivamente vivere e così “cibarci” con la ricchezza che la storia ci ha lasciato.
Nell’ironico video The Hunt (La caccia) (1992), di Christian Jankowski, invece, l’artista viene ripreso mentre si procaccia il cibo con arco e frecce all’interno di un supermercato. Il significato subito percepibile è che la giungla dei nostri giorni non è più fatta di animali selvaggi e piante tortuose, ma è il mondo tecnologizzato in cui viviamo, con le nostre automobili, i supermercati, i mezzi di comunicazione nel quale ognuno deve imparare a sopravvivere.
Il macchinario ideato da Wim Delvoye e chiamato Cloaca Faeces (Feci della Cloaca) (2000-2002) ricrea con estrema fedeltà il funzionamento di un apparato digerente. L’artista ha dapprima realizzato un prototipo di apparato digerente artificiale in tutto e per tutto e in seguito lo ha alimentato con cibi che l’uomo introduce nel suo organismo normalmente per saziarsi. Quello che ne è uscito, facilmente intuibile, è una parete con 100 feci “artificiali”, che possono essere ironicamente definite “feci d’autore”.
Di Giancarlo Norese è l’immagine enigmatica Four things (Quattro cose) (2015), una fotografia che riprende un interno domestico e dove fanno da protagonista quattro banane posizionate in modo da ricreare una sorta di logo, una svastica, originario simbolo del Sole e della Vita, o quattro punti interrogativi per rispondere chissà quali domande la mente umana possa fare.

Foto di Veronica Saggiorato:1)Alessandro Castiglioni,2) Jota Castro

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