Music

March 18, 2014

Nicola Ratti Impact Hub Rovereto: “la fatica sta nell’ascoltare con orecchie laiche”

Marco Bassetti
Il terzo appuntamento della stagione 2014 di Live at The Hub – No Music in The Office, vedrà protagonista Nicola Ratti. L’ex chitarrista dei Ronin si esibirà a Rovereto partire dalle ore 21 in un live set appositamente formulato per l’occasione. Al limite dell’assenza.

Abbiamo avuto modo di apprezzare il suo lavoro come chitarrista nei grandissimi Ronin, la desertica soundtrack-band capeggiata da Bruno Dorella. Ma affianco a questa militanza nella scena rock indipendente, Nicola Ratti ha sviluppato un suo percorso personale, inoltrandosi lungo i sentieri della sperimentazione analogica. Durante la serata di giovedì 20 marzo presso Impact Hub Rovereto, l’artista presenterà l’ultimo risultato di questa esplorazione radicale, un’opera in due volumi dal titolo – diciamolo, non molto rassicurante – Ossario. L’album, composto da 10 tracce, è il prodotto di una composizione scheletrica che, impiegando suoni generati da sintetizzatori modulari, nastri e campionamenti, punta a raggiungere l’essenza del suono. O meglio, come ci ha spiegato Nicola, l’assenza.

Da chitarrista rock alla sperimentazione analogica. Raccontaci come è avvenuto questo sviluppo artistico?

Lo sviluppo è avvenuto in maniera abbastanza lineare ed in un certo lasso di tempo non breve. Ho sempre avuto la curiosità di provare nuove forme e quindi strumenti. Benché abbia militato per molto tempo nella scena rock come chitarrista, ho sempre affiancato ad essa una mia carriera solita più personale nella quale l’approccio alla chitarra, nei miei primi dischi, era meno canonico rispetto ad una forma “canzone”, tipica di un linguaggio da gruppo strumentale quale i Ronin.

Il lavoro che presenterai a Rovereto di chiama “Ossario”. Da dove è nato questo accostamento con il mondo delle ossa?

Mi interessa in fase compositiva e di registrazione, che spesso combaciano, cercare di ridurre e fermarmi quasi al limite dell’assenza di parti. In questo disco ho pensato che una metafora come lo scheletro e quindi le ossa potesse ben rappresentare l’intento. Si tratta quasi di strutture che potrebbero crescere ed arricchirsi ma per scelta cercano di non vestirsi di altro e di mostrarsi un po’ nude.

Un consiglio ad un ascoltatore non avvezzo alla musica sperimentale: quando, dove e come ascoltare “Ossario” per capirlo al meglio?

Ascoltare un disco è un atto molto personale ed è influenzato dal contesto in cui lo si sta facendo e dal modo… non credo ci sia un “modo migliore” per ascoltare questo o altri dischi, piuttosto mi viene da dare un consiglio più generico. Quello di cercare di rivalutare un po’ quella attitudine che si chiama concentrazione e pensare che l’ascolto di una musica non è sempre un atto passivo. La fatica non sta nel cercare un significato ma nell’ascoltare a fondo e con delle orecchie il più possibile laiche.

Ci consigli 5 album per tentare di comprende meglio le radici della tuo percorso artistico?

Direi così al volo:

Burkina Faso – “Antologie de la musique du Gan” ­

Rhythm & Sound ­ – “W/ The Artists”

Emptyset ­ – “Demiurge”

Ricardo Villalobos ­ – “Achso EP”

Vincent Gallo – “Recordings Of Music for Film”

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