Music

December 3, 2013

Califone al Sudwerk, a Bolzano il meglio dell’indie rock americano

Marco Bassetti
A Bolzano sbarca una delle band più originali della scena indipendente d’oltreoceano o, come li ha definiti Rolling Stone in una recente recensione, “uno dei segreti meglio custoditi della musica statunitense”. L’intervista al cantante Tim Rutili, già leader dei Red Red Meat.

La notizia, fin dal primo annuncio su Facebook, ha raccolto grande entusiasmo. Sì perché con i Califone sbarca a Bolzano un pezzo di storia della musica indipendente americana. Un progetto nato all’alba del terzo millennio dalle ceneri dei Red Red Meat, che si è spinto con audacia e personalità, anno dopo anno, album dopo album, nell’esplorazione di un territorio di frontiera: uno spazio del cuore e della mente dove le radici della musica americana si coniugano con le tensioni della sperimentazione post-rock per raggiungere picchi di straniante bellezza avant-folk. Il radicamento del progetto nella scena chicagoana rappresenta, da questo punto di vista, un’importante credenziale. Ma mischiare ricerca roots e umori post è tutt’altro che un gioco da ragazzi, in pochissimi difatti si sono cimentati: vengono in mente i grandissimi Wilco, l’inarrivabile Will Oldham di Arise Therefore, certi Smog “trattati” Jim O’Rourke e pochi altri.

Con l’utlimo lavoro, Stitches, fresco di stampa, la ricerca di Tim Rutili – il protagonista dell’avventura Califone – pare aver raggiunto un nuovo punto di equilibrio: dieci pezzi impressionistici che esaltano, forse come non mai, la sua più autentica vena cantautorale. Con l’enorme pregio – come sottolinea la recensione di Pitchfork – di ricordarci a tutti di quanto il “folk” possa essere una musica magica e avventurosa. In vista del live dell’8 dicembre al Sudwerk (Ca’ de Bezzi), secondo appuntamento della rassegna Unclevanja in Sudwerk, abbiamo scambiato due parole due con Tim Rutili. Appuntito, ironico e laconico, proprio come uno se l’aspetta.

“Stitches” è il primo album dei Califone registrato interamente fuori Chicago, perché questo cambiamento?

Ho vissuto a Los Angeles e trascorso del tempo a Phoenix e Austin in Texas. Quindi mi pareva giusto registrare queste canzoni dove erano state scritte e lavorare con gente nuova. Credo che gli spazi aperti e la geografia di questi luoghi abbiano influenzato la musica.

L’album s’intitola “Stitches”, punti di sutura. Qual è la ferita?

Per me, le canzoni di “Stitches” hanno a che fare con sopravvivenza, fede e guarigione.

Infatti “Magdalene” e “Moses” fanno riferimento a personaggi biblici. Che significato hanno per te queste storie?

“Magdalene” potrebbe riguardare qualcuno estratto da una storia oppure una storia personale. “Moses” potrebbe parlare di paura della fede e del rischio di amare qualcuno o qualcosa che non si comprende. Dico “potrebbe” perché queste canzoni sono molto personali e spero che ciascuno possa trovare in esse il proprio significato.

La vostra ricerca sonora vive in equilibrio tra passato e presente, tradizione e innovazione, radici e futuro. Con “Stitches” sembra che questa ricerca abbia raggiunto un equilibrio perfetto. Che ne pensi?

Rispetto agli album precedenti, “Stitches” è sicuramente più centrato su canzoni, melodie e parole. Tutti i suoni presenti nell’album sono lì per servire le canzoni. Fortunatamente sì, abbiamo trovato un certo equilibrio.

Il secondo singolo estratto dall’album s’intitola “Frosted tips”, come un tipo di pettinatura maschile molto di tendenza. C’entra qualcosa col pezzo?

Pentirsi di un’acconciatura mentre il mondo sta andando a fuoco… “Frosted tips” forse parla di questo?

Riguardo al video di “Frosted Tips”, cosa rappresenta invece quella lunga caduta?

La caduta nel video non rappresenta alla lettera la canzone. Penso che questa idea di Jared (Jared Varava, regista del videoclip n.d.r.) abbia aggiunto un nuovo livello di interpretazione. Le scene che s’intravvedono nei diversi appartamenti fanno emergere poi un po’ dell’humor nero e dell’assurdità che caratterizzano il testo della canzone.

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