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November 7, 2013

Brennero: il Klondike che fu e la nuova vita che verrà (con arte, cultura e il nuovo Plessi Museum)

Text Anna Quinz
Photography Barbara Elias da Rocha

“Prima del crollo delle frontiere, qui era il Klondike”. A parlare è Gianfranco, commerciante a Brennero. Accanto al suo negozio nel centro del paese, una targa ricorda il passaggio illustre di Goethe, che del suo soggiorno lassù scriveva: “Ed ora aspetto che il mattino rischiari questa gola alpestre, nella quale son serrato. Qui sul confine tra il settentrione e il mezzogiorno”.

Tra Wolfgang e Gianfranco sono passati i secoli, e due sono i concetti che mi restano impressi, della mia esperienza di “gitante” di passaggio a Brennero: il Klondike e il confine tra settentrione e mediterraneo.

BRENNEROCurioso come l’abbattimento delle frontiere, il crollo di quel confine tra nord e sud già percepito da Goethe, la caduta di barriere politiche ed economiche – evento che dovrebbe portare ad aperture e flussi di circolazione e scambio più liberi e leggeri, vengano percepiti da Gianfranco come la fine del Klondike, di quella miniera d’oro che Brennero era, e non è più.

“Gitante” di passaggio a Brennero, dicevo. Sì perché tutti, chi da nord chi da sud, per Brennero ci siamo passati. Se non altro accanto, lungo l’autostrada o la ferrovia, che tagliano la vallata e che collegano fluide e veloci i due mondi – vicini eppure lontani – del “giù” e “su”, del “qui” e “li”, del “settentrione” e “mediterraneo” di goethiana memoria. Ma da Brennero si passa. A Brennero non ci si ferma. Non più. Il Klondike ora è un paese arginato a sud da un grande supermercato e a nord da un ancor più grande outlet, schiacciato tra le montagne e come addossato ad esse proprio da quell’autostrada e quella ferrovia che del piccolo borgo sono croce e delizia. Un paese fatto di edifici che nella loro architettura tipica dei luoghi di confine, raccontano di fasti passati, di commerci fruttuosi, di tempi economicamente più felici, seppur non sempre facili.

BRENNEROE così, nella mia gita, per la prima volta per qualche ora stanziale per le vie del paese, incontro persone che hanno voglia di parlare e raccontarsi, raccontare quel luogo amato e odiato, che è la loro casa o il posto di lavoro, che è lo sfondo delle loro giornate, delle loro pene e delle loro gioie. Abitato principalmente da anziani (i giovani sono quasi tutti scappati, o vivono altrove, pur lavorando qui), rimasti ormai in poche centinaia, quasi tutti di madrelingua italiana, arrivati lì dal Veneto o da ancora più giù, nei tempi in cui la miniera d’oro era in piena attività.

C’è Gianfranco, che già abbiamo citato, che racconta di come i fasti del passato siano finiti, di come sopravvivere per i piccoli commercianti locali sia oggi difficile, perché la gente non si ferma più, o almeno non come una volta. E se si ferma, principalmente chi arriva da nord e trova ancora piuttosto “esotico” fare shopping in Italia, privilegia magari le grandi catene presenti nell’outlet, più che i prodotti del piccolo negozio storico.

Poi c’è Franco, che gestisce il ristorante dell’ex dopolavoro ferroviario, centro nevralgico della vita sociale del paese. A lui le cose vanno meglio, la ristorazione tiene, per il viaggiatore lo shopping è un optional, ma il nutrimento una necessità, e così l’attività continua ed è in salute, ma certo lo sa bene anche Franco, che il paese non è proprio in forma, non come una volta, non più. 

BRENNEROPoi ci sono i giovani, come Hanna, Cristina, Ilenia e Romina, che lavorano nell’outlet o nel grande supermercato. Vivono altrove nella vallata, in centri più grandi e vivaci. Per loro Brennero è come per i viaggiatori: un luogo di passaggio, un passaggio che dura 8 ore al giorno 6 giorni su 7, ma pur sempre un passaggio.

Apparentemente, lo scenario sembrerebbe desolante. Eppure, anche come gitante di passaggio, non mi sono sentita come Goethe “serrata” nella “gola alpestre”. Che i confini siano crollati è qualcosa che si sente, che mette nell’aria quella nota frizzantina che non è solo il freddo di un inverno che arriva, ma soprattutto la sensazione di un luogo che ora – nonostante tutto – può aprirsi e guardare al di là, al di sopra e al di sotto del proprio passato, può farsi nodo e anello di congiunzione. Non per separare ma per unire, in una striscia di terra alpina tutta da ricostruire.

Questa dimensione aggregante, questa zona liminale che ora può incollare invece che scollare, può solo crescere, e forse può farlo anche e soprattutto grazie alla cultura e all’arte, forze motrici per definizione costruttive, che parlano linguaggi universali che vanno ben al di là di lingue, etnie, nazioni e confini.

BRENNEROE così, proprio lì, proprio a Brennero, ben si colloca il nuovo grande Plessi Museum, che a pochi metri dal paese, si erge imponente tra montagne, natura, strada e rotaie. Un progetto ambizioso, un museo in pieno “nulla”, lì dove la gente passa ma dove ora può fermarsi e stare, per un po’, passando al di qua e al di là della strada, per scoprire la macro installazione dell’artista di fama internazionale Fabrizio Plessi e poi per fare due passi in paese, per conoscere un luogo unico nel suo genere – in Alto Adige ma anche in Tirolo – che ha una storia fatta di muri e di volti incredibile da raccontare.

Il museo è un progetto di A22-Autobrennero, che da anni ormai mette l’arte sulle sue strade, ponendo in quei raccordi e in quei nodi extraurbani dove macchine e persone vanno e vengono quelle domande e quelle risposte che solo il linguaggio artistico può dare. Il museo è un grande punto di raccordo, un luogo in fieri (l’inaugurazione ufficiale si svolgerà il 29 novembre), dove tutto può ancora succedere, dove il settentrione e il mediterraneo che Goethe vedeva come entità separate possono incontrarsi, dialogare, comunicare tra loro. Uno spazio museale inedito, che accoglie (anche con un panino e un caffè, nell’autogrill già attivo) il visitatore stupito e lo porta lì dove prima non era ancora stato.

E qui si svela il mio viaggio gitante, il mio perché a Brennero in una mattina di ottobre: scoprire stupita anch’io il museo e ciò che – ma anche chi – gli sta affianco, accanto, dietro, davanti, intorno.

E ciò che circonda il museo, è un’area da inventare e riempire di idee, per esempio l’idea di un nome. Come propone un concorso di idee lanciato da Autobrennero in collaborazione con Transart (info per partecipare qui). Come a dire che la scrittura di un luogo, la sua definizione, è un processo, che passa per le persone che quel luogo lo vivono, quelle che ci passano attraverso, quelle che lo osservano più o meno da vicino.

Un Klondike che può tornare a far brillare d’oro Brennero e i suoi dintorni, insomma, grazie all’arte, alla cultura e a una visione dello spazio che prima non c’era, e che ora c’è.

Per saperne di più sul Plessi Museum qui

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