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September 27, 2013

Through: il racconto fotografico di alcuni spazi architettonici davvero speciali: la scuola di montagna

Karin Mantovani


Poco più della vita di una farfalla è il tempo che la mostra Through avrà per farsi conoscere al pubblico. Al primo piano della casa di cultura Waltherhaus in Via Crispi a Bolzano sarà infatti possibile ammirare, per tutta la durata della seconda edizione dell’Innovation Festival, gli scatti del fotografo Marco Pietracupa. Marco, fotografo molto attivo sulla scena milanese e non solo (intervista qui per conoscerlo meglio), ha prestato la sua arte alla documentazione fotografica della ricerca condotta da Beate Weyland “Tra pedagogia e architettura” presso la Libera Università di Bolzano. Al centro della ricerca 10 scuole dell’infanzia, scuole primarie di montagna costruite negli ultimi anni.

Per quanto contenuta e discreta – la selezione di immagini si concentra su di una parete, in fondo alla sala e si articola come un nastro svolto sul fondo bianco – la mostra ha tantissimo da raccontarci. Io l’ho sentita “parlare” attraverso le voci di chi l’ha realizzata, Marco e Beate, e ora sono io a raccontarvela.

Non so perché, ma se penso ad una scuola dell’infanzia, forse per la mia esperienza personale, mi vengono in mente spazi ai quali bimbi e maestre si devono adeguare, vivendoli. Aule senza troppa cura per l’arredo, votate alla funzionalità, ma non necessariamente ad una piacevolezza estetica oppure a rendere più agevole l’apprendimento. A pochi centimetri dalla parete e dunque dalle foto esposte, mi accorgo che esiste un altro, specialissimo mondo: quello delle scuole di montagna del nostro territorio. Il dominio della luce, la generosità degli spazi, il dialogo incessante e armonioso tra esterno e interno, il senso di libertà, la trasparenza visiva tra gli ambienti… sono solo alcune delle sensazioni e dei messaggi che le foto di Marco mi stanno comunicando.
Marco ha voluto dare un’interpretazione visiva alla ricerca che Beate sta conducendo da alcuni anni e con la sua sensibilità artistica ha saputo cogliere quelle sfumature, quei dettagli che probabilmente un fotografo di architettura non coglierebbe. Nei suoi scatti c’è estetica e c’è intento documentaristico. C’è sensazione, suggestione, ma anche il tentativo oggettivo di restituire il lavoro e l’intento dell’architetto.

throughLe scuole di Egna, Terento, Vipiteno per dirne alcune, sono state progettate da architetti più o meno noti e tutte, tutte e dieci, sono state realizzate seguendo i dettami architettonici più moderni, più funzionali, arrivando a divenire modello ed esempio contemporaneo di architettura scolastica a livello non solo nazionale, ma internazionale. Al pari di esse – racconta Beate – non ce ne sono. Le nostre scuole sono diventate un’attrazione, luogo di pellegrinaggio per addetti del settore e interessati. Ma non solo. Queste scuole sono la testimonianza che un lavoro sinergico tra architetto, committente e utenza sia possibile e concretizzabile.

“Marco è riuscito a mettere in rilievo con le sue foto proprio quel tema così centrale per la mia ricerca che è lo spazio di mezzo” dice Beate. Questo spazio intermedio che si viene a creare tra gli ambienti delle scuole di montagna è per Beate quel quid che le rende speciali. Non perché possono essere considerate la declinazione del progetto dell’architetto, ma perché in questi spazi si avverte e si riconosce il risultato di quell’importantissimo incontro e confronto tra il dirigente scolastico, nel nostro caso “illuminato” e assolutamente convinto della necessità di aprirsi a nuove soluzioni architettoniche, l’architetto e l’utente finale, ovvero gli insegnanti e i pedagoghi.

2La suggestione e il carattere speciale di queste architetture, sono state colte anche dai curatori della rivista Turris Babel che hanno dedicato un intero numero allo studio condotto da Beate. La sua emozione è palpabile quando mi dice che verrà presentato il prossimo 11 ottobre presso la scuola del quartiere Firmian a Bolzano. E con ragione: oggi questa tematica è divenuta oggetto di importanti riflessioni e di dibattito anche in ambito pedagogico. La scuola che raccontano Beate e Marco non è solo frutto di una ricerca estetica che ci mostra continuità di spazi interni ed esterni, accostamenti di luci, colori, chiusure e aperture. Che ci racconta una enorme innovazione.

È anche centro civico, ovvero un luogo di aggregazione che accoglie non solo attività scolastiche, ma anche momenti culturali, eventi sportivi, assemblee e riunioni.
Questo nuovo concetto di architettura scolastica ha consentito ai centri urbani anche più piccoli di vivificarsi e ritrovare nuovi spazi di condivisione.

La mostra di Marco Pietracupa è come quel sasso che gettato in acqua crea dei centri concentrici. È il rendere visibile un qualcosa di molto più grande e ramificato su cui è bene riflettere e confrontarsi, al di là del grande piacere che la bellezza delle sue foto riescono a trasmettere. 

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