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August 7, 2013

People I Know. Stefano Cavada: esportare l’arte del caffè e scoprire i segreti della pasticceria

Anna Quinz

Ogni mattina praticamente tutti gli italiani fanno tappa fissa al bar, per sorseggiare l’amato caffè. Che sia lungo, ristretto, macchiato, in tazza grande o piccola, quello del caffè è un rito imprescindibile dell’”italianità”. Ma il caffè all’italiana si beve ovunque nel mondo, anche se non ovunque si sa davvero come prepararlo. Ecco perché servono i baristi trainer. Stefano Cavada ha 22 anni, è di Caldaro e da poco è tornato a casa, dopo aver lavorato nella uggiosa Londra, proprio facendo questo curioso mestiere. Oltre al caffè però nella sua vita anche la cucina in generale, partendo dalla scuola alberghiera di Merano, e la pasticceria in particolare, alla quale si dedica con dedizione e passione. Il suo prossimo passo infatti sarà frequentare il corso di pasticceria all’ALMA, la scuola internazionale di cucina vicino a Parma. Per Stefano sarebbe il raggiungimento di un grande obiettivo personale e professionale, per poi “coronare il mio sogno” racconta “andare in America e Australia”. Oppure, chissà, rimanere in Alto Adige, dove la cucina è elemento culturale fondamentale e dove forse una buona pasticceria, con torte alte come palazzi e decorate come opere d’arte, potrebbe essere il nuovo regno del giovane Stefano.

Stefano, cosa fa esattamente un barista trainer? Come e perché hai scelto questo mestiere?
Un barista trainer insegna l’arte del caffè. Non si tratta solo di premere un pulsante sulla macchina. Richiede passione (come qualunque arte) e una buona manualità. Questo lavoro mi è capitato per caso. La mia boss di Londra era una Miranda Priestly (la crudele direttrice di una famosa rivista di moda nel celebre libro e film “Il Diavolo veste Prada” ndr) all’inglese: spesso mi sono ritrovato a correre per la grande città come un matto. Però ha creduto nelle mie potenzialità e ho imparato la tecnica del latte art nonché ad insegnare in inglese ad un pubblico spesso anche di 20 persone. È stato un’occupazione inaspettata e imprevista anche se essenziale per la mia carriera.

Per gli italiani il caffè è sacro. Cose viste a Londra che ti hanno fatto rabbrividire?
Ne ho viste di cotte e di crude a Londra! Oltre ad insegnare facevo piccola manutenzione alle macchine del caffè. Tantissime macchine del caffè bloccate dallo sporco! Soprattutto nelle grandi catene su cui non vorrei esprimermi troppo…

La passione invece per la cucina e la pasticceria, da dove arriva e come si è sviluppata?
La passione della cucina è nata quando a 8 anni aiutavo mio papà ad impastare la pizza il venerdì pomeriggio e con la mamma a Natale sfornavo centinaia di Weichnachtskekse. La curiosità è cresciuta di anno in anno accompagnata da esperimenti e anche i piccoli disastri. A Londra sono venuto a contatto con sapori e pietanze provenienti da tutto il mondo e ho ampliato il repertorio di ricette.

Perché proprio Londra? impressioni sulla città? Cose amate/odiate?
Parte del mio cuore è ancora lassù. Ho scelto Londra perché non troppo lontana e perché avevo bisogno di ispirazione e di nuovi stimoli. La città è vibrante, multiculturale e stravagante. Ogni zona è speciale a modo suo. Ho amato i supermercati, fornitissimi, in cui davo libero sfogo alla fantasia nelle giornate di shopping. Ho odiato le infinite e piovose giornate di pioggia, soprattutto quando mi ritrovavo a piedi (e senza ombrello).

Com’è dopo Londra vivere a Caldaro?
È stato uno shock non da poco. Spesso al supermercato non trovo quello che voglio!
Però non sento la mancanza dello stress della grande città, proprio no.

Domande d’obbligo: cosa ami mangiare e bere? Cucina a casa? Cosa non manca mai nel tuo frigo?
Oltre ad essere un buon cuoco, sono l’ospite perfetto. Mangio tutto! Di recente la mia alimentazione è molto sana ed equilibrata ma per niente insapore o triste. Spezie, erbe e colori sono i miei fedeli compagni in cucina. Da buon pasticciere il mio binomio perfetto è un ottimo dolce fatto in casa e un buon passito. La fine del mondo! A casa cucino sempre per tutti e a tutte le ore. Preparo il pane e sforno torte e dolci per tutta la settimana. Mi sembra quasi di gestire un piccolo ristorante con 4 coperti. Nel mio frigo non mancano mai frutta e verdura biologica locale. Quando andavo all’asilo la verdura finiva nelle tasche del grembiule piuttosto che nel mio stomaco. Un paradosso curioso!

Il settore enogastronomico è fiore all’occhiello dell’Alto Adige. Sei tornato per questo? Cosa pensi che l’Alto Adige potrebbe fare per potenziare questo settore?
Ho sempre fatto grande pubblicità all’Alto Adige quando ero a Londra. Racchiude un tesoro enogastronomico e culturale preziosissimo di cui vado molto fiero. Ogni tanto fa bene tornare nella propria Heimat e sosterò qui per un anno o due. C’è tantissimo potenziale in Alto Adige. In Inghilterra i locali sfruttavano i social network per coinvolgere i clienti con novità, aggiornamenti, video, hashtags. Non sarebbe male introdurre una novità simile! Sarebbe anche un’ottima pubblicità.

La cucina è un’arte?

Assolutamente sì. Creatività, dedizione, tecnica e autocritica sono essenziali! 

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