Culture + Arts > Cinema

February 13, 2013

Berlinale Days #03

Cristina Vezzaro

Quello di Berlino è un pubblico che si porta in sala i thermos di tè caldo; è un pubblico che non lascia vuota nemmeno una poltrona delle centinaia che contemporaneamente accolgono gli spettatori di questa dieci-giorni; è un pubblico che addirittura non considera che tu abbia messo sulla tua cappotto, borsa, giacca e sia corso un attimo al bagno prima dell’inizio della proiezione: ho assistito almeno a tre scene in cui spietati berlinesi hanno preso e gettato a terra giacche altrui occupando posti in teoria riservati da qualcuno, addirittura durante una conferenza stampa, in un clash culturale Germania-Brasile senza pari.

Ma parliamo di cinema:

Tra le pellicole in concorso c’è un bel film rumeno, Pozitia Copilului, in inglese Child’s Pose, di Calin Peter Netzer, che inizia a dire il vero in maniera non semplice, anzi piuttosto respingente per le riprese con camera in spalla, con uno squarcio su una società rumena ricca, di una ricchezza sontuosa, ignorante, tutta pellicce, gioielli e feste; e continua in maniera respingente quando un uomo, in un incidente, uccide un ragazzino 14enne e la madre muove mari e monti per fare in modo che ne esca pulito e non si rovini la vita, assolvendolo lei stessa dal crimine commesso. Alla vicenda tragica si intrecciano rapporti familiari non facili, fatti di controllo e assenza di comunicazione o rispetto. Ma non è la prima volta, in questo festival, che rispetto a una prima impressione della società e della cultura rumena, apparentemente impenetrabile, fredda, disumana quasi, si va a scoprire poco a poco un’anima profonda toccante: dall’iniziale tentativo di liquidare l’episodio come uno spiacevole imprevisto della vita cui porre facilmente rimedio con qualche bustarella e qualche intervento, madre e figlio smetteranno i panni dell’indifferenza (e i ruoli che quotidianamente decidono di interpretare tra loro) per calarsi finalmente nella tragedia della morte innocente di questo ragazzino. “Questi,” dice Luminita Gheorghiu, la bravissima protagonista, a quanto pare molto famosa in patria, che ben rende l’immagine di figura femminile forte “sono i danni prodotti dalle madri iperprotettive, che anziché insegnare ai figli come vivere, continuano a volerli proteggere fino in età adulta, impedendo loro di responsabilizzarsi”.

Meine Schwestern è invece il film del regista tedesco Lars Kraume con attori di un certo calibro in Germania, tra cui Jördis Triebel, Nina Kunzendorf, Lisa Hagmeister, Beatrice Dalle, Angela Winkler, la storia di una morte – quella di Linda – annunciata alla nascita per malformazione cardiaca e quindi rimandata fino ai 30 anni, quando la protagonista capisce che le manca oramai poco e decide di partire con le sorelle per rivisitare la località in cui trascorrevano insieme le vacanze da bambine. “Hanno sempre tutti avuto paura che morissi,” spiega Linda a un certo punto nel film “e così di paura non ne è rimasta per me, che da sempre sono pronta a morire”. Mentre le sue condizioni degenerano e lei lascia a poco a poco le disposizioni, le sorelle lottano in maniera diversa, come fanno da una vita, contro il rischio della morte e del dolore, questa volta così vicini.

Infine mi sono concessa su grande schermo un’eccezionale Some Like it Hot, la fantastica commedia degli equivoci del 1959 di Billy Wilder con una bellissima e sensualissima Marylin Monroe e gli irresistibili Jack Lemmon e Tony Curtis, due musicisti in fuga dalla mafia della Chicago proibizionista del 1929 in un travestimento da donne che ribalterà il loro modo di vedere il mondo, fino alla battuta finale dello spasimante cui Jack Lemmon non sa come dire di no. “Ma sono un uomo”, gli confessa a un certo punto. “Non importa,” gli risponde il ricco miliardario: “Nobody is perfect.”

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.