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October 26, 2012

Museo della caccia e della pesca, pezzi della nostra cultura materiale

Marco Bassetti

Dalla preistoria ad oggi, la pratica della caccia ha attratto su di sé significati psicologici e simboli culturali che trascendono l’ambito del semplice sostentamento. La caccia è approvvigionamento di cibo, ma anche sfida, scoperta, tecnica, dominio, piacere, conquista. Secondo Elias Canetti l’attività della caccia “attraverso decine di millenni è stata così intensa da lasciare tracce ovunque e perfino nella nostra epoca, profondamente diversa dalla precedenti, sopravvivono numerose forme che procedono direttamente da essa”. Così, nel percorso che va dalle incisioni rupestri del paleolitico, popolate di uomini, bestie e uomini-bestia, ai miti dell’età arcaica e classica pieni di dei e re cacciatori, alla caccia dei signori medievali come attività ludica e rappresentazione sociale, fino al ruolo che l’attività venatoria riveste oggi (passatempo finesettimanale per uomini in cerca di virili emozioni into the wild, oppure attività di pubblica utilità per la gestione della fauna selvatica), si può leggere il percorso compiuto dalla civiltà europea. Secondo una dialettica barbarie-civilizzazione difficilmente inquadrabile come progressiva o definitivamente risolta.

In quanto configurazione mutevole e resistente nel tempo dell’intricato legame natura-cultura, la caccia e la sua sorella pesca sono il tema del Museo provinciale al Castel Wolfsthurn, uno dei Musei etnografici dell’Alto Adige insieme al Museo provinciale del vino di Caldaro e del Museo degli usi e costumi di Teodone. In uno delle più imponenti costruzioni architettoniche dell’intera area tirolese, gioiello del barocco centro-europeo incastonato nel verde della Val Ridanna, il visitatore si trova coinvolto in un interessante itinerario storico-naturalistico-etnografico che interpreta caccia e pesca come settori rilevanti della cultura e della tradizione locale.

In quanto segmenti della cultura materiale della nostra regione, caccia e pesca vengono documentate attraverso una moltitudine di oggetti: dai corni per la polvere da sparo alle bisacce decorate con motivi venatori, dagli schioppi alle lame con i manici intagliati, dalle tabacchiere alle canne da pesca della prestigiosa collezione privata Rudolf Reichel (per gli amanti della pesca alla mosca un autentico tesoro). Oltre agli oggetti di uso comune, spiccano i diorami naturalistici con la rappresentazione delle specie animali autoctone, l’ampia rassegna di animali impagliati, corna, trofei, e soprattutto la collezione di quadri e incisioni del Sette-Ottocento. Dove, naturalmente, è la caccia aristocratica a trovare rappresentazione artistica, sempre per la gioia di cervi e caprioli.

Per un museo sorto nel 1996, l’esposizione sorprende per ampiezza e multiformità. Dove il contenitore, la meravigliosa struttura architettonica ospitante, è importante almeno quanto il contenuto. Per rendersene conto, basta seguire il percorso museale. Lasciandosi alle spalle l’area “caccia e pesca” concertata al primo piano del palazzo, ci s’inoltra tra le stanze del secondo piano, conservate allo stato originario: tra stucchi, arazzi, dipinti, ritratti di famiglia e stufe rococò, un viaggio nella vita nobiliare dei Secoli XVIII e XIX. La visita si conclude, poi, nelle cantine del castello, dove si sviluppa un percorso didattico interattivo destinato ai visitatori più piccoli. Pedagogia sul campo, con impronte, corna, tane e ululati al posto dei libri.

Allontanandosi dal castello, quelle piccole finestre, tantissime da sembrare infinte (365 in tutto, tante quante i giorni dell’anno) riportano alla mente le riflessioni di Deleuze sul barocco. “La piega infinita separa o passa fra la materia e l’anima, la facciata e la stanza chiusa, l’esterno e l’interno. Il tratto distintivo del barocco è dato dalla piega che si prolunga all’infinito”.

www.wolfsthurn.it

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