Music

August 27, 2012

Ospitare un pianista: un anno dopo

Alessandro Tommasi

L’ho incontrato per caso all’entrata del conservatorio.
Aria persa, come sempre. Cammina per la città ma non sembra davvero esserci. Probabilmente pensa ad altro. Probabilmente non sa nemmeno lui a cosa stia pensando.

Dopo un anno ho ritrovato Antony Baryshevsky, secondo posto ex aequo, premio del pubblico, premio della giuria e premio come più giovane dei tre finalisti dello scorso Busoni. Uguale a quando mi aveva conquistato alle semifinali, uguale a quando era venuto a stare da noi dalle finali solistiche fino alla finalissima, uguale a quando ha suonato il Rac 3, il famosissimo terzo concerto di Rachmaninov.
Ma soprattutto uguale a quando stava per andare alle finali solistiche senza scarpe, uguale a quando è scomparso nel momento in cui dovevano fare la foto ufficiale ai ragazzi passati alla fase successiva, uguale a quando nessuno sapeva dove fosse al momento delle premiazioni finali e l’ho trovato a casa mia con una bottiglia di vodka Kiev ad ascoltare sonate di Skrjabin.

E’ sempre stato così, fin dal primo giorno in cui è arrivato a casa, con tutta la diffidenza di mia madre nell’accettare un perfetto sconosciuto, che tra l’altro non parlava nemmeno italiano e farlo dormire nel mio letto, confinandomi in camera di mia sorella. Non c’è stato possibile non affezionarci. Abbiamo visto il nostro candidato andare sempre più avanti nel concorso, mio padre ha cucinato per lui, mia madre è venuta a sentirlo, ci siamo andati a prendere una pizza tutti insieme. Lui adorava il gorgonzola, di cui ignorava l’esistenza, e ovviamente s’è preso una pizza con gorgonzola, salsiccia e radicchio.
Il giorno dopo la finalissima, lui se n’era già andato. Il suo treno partiva alle 4.30, se n’è andato durante la notte. Dopo averlo accompagnato al post premiazioni (dove ha fatto razzia di formaggi), tornati a casa sapevamo entrambi che non ci saremmo rivisti per almeno un anno. Strano. E’ rimasto da noi all’incirca dieci giorni. Non avrei mai immaginato che in così poco tempo avremmo potuto stringere un rapporto tanto bello. Eppure in quel momento eravamo entrambi commossi, come un abbraccio d’addio fra amici di vecchia data.
La mattina dopo ritrovai mia madre che si commuoveva a sua volta guardando la registrazione alla tv della finalissima della sera precedente.

A ben vedere mi ero proprio scelto il candidato giusto da ospitare. Un po’ perché avrebbe fatto impazzire molte famiglie. Un po’ perché alla fondazione Busoni per cercare lui chiamavano direttamente me. Un po’ perché ho avuto l’onore di ospitare un grandissimo giovane pianista, che ha dimostrato nel concerto di giovedì 23 agosto di essere maturato ancora, compiendo una rapidissima ascesa. Ciò che di Antony Baryshevsky mi ha sembra colpito è la capacità di donare colori. Una qualità che purtroppo scarseggia ultimamente. Non è la solita predica “ai bei vecchi tempi tutto andava meglio”, è una grave carenza favorita da diversi fattori, non ultimo il mercato dei CD. Antony si discostava da quei pianisti pastrugnoni che pestano tutto o dalle macchinette tecniche che cercano invano di rendere arte il solo virtuosismo. La sua più grande pecca, che gli ha impedito di raggiungere il primo posto, era la difficoltà nel tirare fuori sempre un suono potente e molto convinto. Forse per agitazione, forse per paura, forse per tentare di rendere tutte quelle sfumature di colore che emergono dalle sue interpretazioni, il suono a volte difettava proprio di sicurezza, saldezza e grandiosità. Inutile dire che la lacuna è stata già in gran parte colmata, come il concerto ha dimostrato. Ed entrambi i genitori ospitanti erano là a sentirlo. Da mesi ormai ci stavamo preparando al ritorno di Antony. Da mesi c’eravamo accordati su una pizza soprattutto!

Così rieccoci in pizzeria, a un anno di distanza. Quest’anno cambio di ingredienti, voleva qualche genere di pesce, così ecco una bella pizza con tonno, olive nere, pomodorini e grana. Sembrava così buona che io stesso me ne sono presa una (e ha confermato l’attesa). Ovviamente devo tacere sul nome della pizzeria, perché (ancora) non mi pagano per fare pubblicità.
Un pranzo delizioso, a un anno di distanza, Antony visibilmente più rilassato e una conversazione che ha vagato su decine di diversi temi. Progetti e programmi futuri, pizza e cibo italiano, cosa farò l’anno prossimo, com’è andata la vita in quest’anno che non ci siamo visti, come si dice “cincin” in ucraino (ormai è una fissazione!), ossia bud’mo (anche questa volta per scoprire come scriverlo ho sfruttato il caro Google…), quando e come prendere la funicolare per andare a fare una visita al Renon, eccetera.

Quello di Antony Baryshevsky e la mia famiglia non è che uno dei moltissimi retroscena del concorso Busoni, non a caso il più importante d’Italia e uno dei più importanti al mondo. Mi auguro che ogni famiglia che ami la musica e voglia offrire il suo aiuto scelga di ospitare un candidato l’anno prossimo. Non solo per dare una mano, ma proprio perché è un’esperienza stupenda che, se vissuta bene, crea un’intima connessione con un musicista.
E di solito i musicisti, se presi ancora giovani, sono delle persone simpatiche. Ve lo giuro!

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