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July 23, 2012

This is Drodesera We Folk #03: Marta Cuscunà e la semplicità ingannata

Claudia Gelmi

Il suo primo spettacolo, È bello vivere liberi, si può affermare sia stato un caso teatrale, per il nostro paese: 120 repliche in due anni e un successo di platee e critiche eterogenee quanto concordi. La giovane autrice e attrice della Factory di Fies Marta Cuscunà ora si trova di fronte all’attesa prova: il lavoro numero due, quello che si auspica possa confermare il suo talento e avallare la giusta direzione intrapresa.

Presentato ieri a Drodesera (www.centralefies.it) lo studio dello spettacolo, coprodotto da Centrale Fies e Operaestate festival che debutterà il 31 agosto a Bassano, La semplicità ingannata. Satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne. Seguendo le caratteristiche del primo lavoro, anche in questo Marta Cuscunà sarà protagonista di un monologo, accompagnata dalla presenza dei suoi pupazzi che sul palco si fanno non solo scenografia, ma vita stessa.

Marta Cuscunà, dove trae origine il suo nuovo spettacolo?

L’interesse è nato dalla lettura del libro Lo spazio del silenzio di Giovanna Paolin, in cui si descrive l’utilizzo dei conventi a fini economici: i padri mandavano le figlie in convento per risparmiare la dote e la chiesa si arricchiva per questo. Il saggio presenta tre tipi di resistenza femminile. La prima, che consiste nell’uso della scrittura, narra dell’esperienza di Arcangela Tarabotti, monaca veneziana che visse tra il 1600 e il 1700, la quale denunciò nell’opera La semplicità ingannata la pratica della monarcazione forzata. Scrisse anche la trilogia L’inferno monacale, Il purgatorio delle malmaritate e Il paradiso monacale, aprendo un mondo da fuori sconosciuto. La sua opera è una denuncia fortissima del governo dei padri, intesi come padri naturali, ecclesiastici e come potere maschile. La seconda forma di resistenza parla dell’esperienza delle Clarisse di Udine, tra il 1500 e il 1600: le monache si resero conto che l’essere rinchiuse poteva diventare la loro forza, perché potevano pensare un nuovo modello di società. Studiarono molto e diedero vita a importanti idee di critica sociale del potere maschile e della gerarchia ecclesiastica. Le Clarisse di Udine sfuggirono, grazie alla solidarietà reciproca e alla loro cultura, l’Inquisizione per eresia. Allora le divisero, inviandole in conventi diversi e mettendo così fine a quest’esperienza tanto rivoluzionaria quanto passata sotto silenzio. La terza forma di resistenza riguarda le donne che venivano schiacciate da questa clausura imposta, manifestando forme di follia e comportamenti suicidari.

Come renderà tutto ciò in forma teatrale?

Mi sono soffermata sulle prime due forme di resistenza, ovvero le opere della Tarabotti, elaborandone la drammaturgia per il teatro, e l’esperienza delle Clarisse di Udine. Introdurrò la storia di una monaca fino all’inizio della clausura imposta. A quel punto la dimensione diventerà comune, appariranno le sorelle, rese dal teatro di figura, ovvero i pupazzi, creati da Belinda De Vito, che permettono di rendere l’idea di comunità e di varcare la soglia della clausura.

Con «La semplicità ingannata» torna a parlare non solo di donne, ma di donne che resistono.

Sì. Ho dato un nome a questo percorso: “Resistenze femminili nel nostro paese”. Se già la Resistenza gettò importanti basi per la rivoluzione femminista (come l’artista ha narrato in È bello vivere liberi, ndr), mi chiedo allora cosa sarebbe successo se la vicenda delle Clarisse non fosse stata soffocata nel silenzio della storia, perché già nel 1500 queste donne proponevano un modello sociale diverso dal concetto di dominanza. Il tentativo consiste nel ridare slancio a una rivoluzione di cui non sentiamo più il bisogno, e forse non per un caso fortuito, ma per una precisa strategia che, con modi diversi, ci schiaccia ancora sotto lo strapotere maschile.

Più foto e tanto altro su b-fies.it

Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 22 luglio 2012

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