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April 18, 2012

Quitthedoner: gli elevati costi umani degli usi ricreativi della Nutella

quitthedoner

Da bambino passavo i pomeriggi più freddi dell’inverno nel salotto di casa con un amico a guardare cartoni animati giapponesi su Mediaset che allora si chiamava ancora Finivest, al tempo non sapevo niente di politica e il massimo della contraddizione che riuscivo a cogliere in quell’arma politica di massa era che campi da calcio come quelli di Holly e Benji così lunghi da riprodurre la curvatura terrestre non esistevano nella realtà. Perfino al campo dell’oratorio, che era lungo almeno dieci volte di più di quello del mio cortile, la porta avversaria si stagliava deludentemente prima dell’orizzonte. Una sera prima di addormentarmi pensai che se m’ingannavano sui campi da calcio poteva anche darsi che Cristina D’Avena mentisse a sua volta e David Gnomo non fosse affatto amico suo. Fu una notte tremenda. A metà di quei pomeriggi mia madre spuntava con dei panini con dentro il Galak. Non so se vi avevo già detto che ero un bambino grasso, beh ormai dovreste averlo intuito da soli: divano, televisione e cioccolato bianco non credo siamo mai stati gli elementi portanti dei pomeriggi del recordman delle scuole elementari sui cento metri. Amavo quel cioccolato di un colore che non esisteva in natura, il modo in cui la mollica della rosetta si comprimeva compattandosi contro la dura tavoletta prima che questa cedesse sotto i miei giovani denti. Fu un’età aurea anche se tutt’oggi mi chiedo perché diavolo quel cartone si chiamasse Holly e Benji se quest’ultimo se ne stava sempre in Germania e tutto quello che faceva era spedire irritanti lettere al povero Holly, cose del tipo

“qui al Bayern tutto bene, se c’è una cosa che le bionde da queste parti desiderano più della birra sono i portieri adolescenti giapponesi. L’altro giorno sono andato a bermi una birra con Beckenbauer, o come lo chiamiamo noi Becki. Non sai che risate! Ad ogni modo come è andato il derby con il Nagoya? Vi pagano ancora i rimborsi spese in sushi andato a male? Ora scusami ma devo andare a lavare la Porsche che uso il martedì”.

Pochi anni dopo smisi completamente con il Galak, ero uno snello adolescente con un’unica fissazione, la stessa del vecchio presidente del consiglio, solo che per me ai tempi andare con le minorenni era legale. Un giorno, come se si è fortunati una volta nella vita accade, incontrai lei. Era così bella che quando la vidi la prima volta la scena andò al rallenty, l’inquadratura incominciò a ruotare vorticosamente, si alzò una musica con degli archi, poi silenzio interrotto solo dal battito del cuore che si ferma per un istante, poi del vento improvviso le scompigliò i capelli facendo intuire le sue forme sotto il vestito rosso, poi andammo a sbattere uno contro l’altro e le nostre borse cadendo si aprirono, i documenti si mischiarono indistricabilmente poi io farfugliai timido qualcosa porgendole una poesia sui dei gattini che avevo composto finché lei non disse

“Come cazzo hai detto che ti chiami?”

E fu Amore. Oh facevamo le cose più assurde: ci univamo con la stessa definitiva naturalità con cui il mare s’incontra con il cielo all’orizzonte, i nostri corpi si fondevano in un unisono piacere che placava per qualche istante le nostre giovani vite irrequiete, annusavo la sua pelle con la stessa maniacale necessità con cui un pubblicitario milanese aspirava coca. Un giorno fra un amplesso e l’altro mentre mia madre era fuori entrai in cucina e vidi un barattolo di Nutella. Sulle prime lo ignorai. Poi improvvisamente compresi che i grandi uomini erano tali perché sapevano usare un oggetto in un modo a cui nessuno aveva pensato prima, Archimede aveva usato gli specchi per difendere Siracusa e non per mettersi il rimmel, Cicerone aveva usato la retorica pretenziosa e senza punteggiatura per esercitare il potere nell’antica Roma e non per presentare vernissage di arte contemporanea, i greci avevano usato un cavallo per espugnare Troia e non per scoparsi l’istruttore di equitazione.

Io avrei dato un nuovo senso alla Nutella.

Presi il barattolo e non uscimmo dalla stanza per giorni. Ancora oggi non saprei dire se era meglio spalmare o essere spalmati, ma ho ancora ricordo il sapore speziato di quella Nutella speciale, il leziosismo compiaciuto con cui imparai a farcirla ulteriormente con la panna spray. Mi sembra ancora di sentire quel sapore qui sulla punta della lingua e allora mi viene la pelle d’oca, una fame da lupo e qualcos’altro da cavallo. Poi lei, come se si è sfortunati una volta nella vita accade, mi lasciò. Fu durissima. Per un paio d’anni non riuscii a entrare in un autogrill senza mettermi a piangere davanti al barattolo di Nutella da tre chili vicino al Toblerone. Per nutrirmi durante i viaggi dovevo pagare dei camionisti svizzeri perché entrassero a comprarmi una rustichella. I costi di commissione erano folli. Adesso non ci penso più, ma rimpiango i tempi in cui la cioccolata più buona che conoscevo era il Galak, il divano era caldo mentre fuori la temperatura era sotto lo zero e i gemelli provavano a fare la catapulta volando per 250metri a 10 cm dal prato verde.

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