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April 6, 2012

People I know: Dario Piombino-Mascali e il fascino segreto delle mummie

Anna Quinz

Nell’immaginario comune, chi di professione fa il “ricercatore”, è presumibilmente un topo da biblioteca, un medico da studiolo, un individuo solitario e un po’ schivo tutto concentrato sulle proprie carte. Nulla di più falso. Dario Piombino-Mascali, fa il ricercatore, nello specifico si occupa di mummiologia all’Eurac, l’istituto di ricerca bolzanino, che a seguito della scoperta della mummia più famosa proprio in terra altoatesina, ha creato un centro specializzato in questi studi. Dario, classe ’77, è arrivato qui da Messina, sua terra di origine, dopo essere passato per molte città dove ha perfezionato gli studi in antropologia prima (a Pisa) e in mummiologia poi. Non è scontato pensare che un ragazzo giovane, vitale e attivo come Dario, lavori ogni giorno a stretto contatto con esseri umani mummificati, e che lo faccia poi da esperto di altissimo livello, come dimostra il lungo e impressionante curriculum che gli fa da presentazione. Eppure, è così e la passione per questo settore così particolare è chiara in ogni sua parola. Dario, lavora anche come divulgatore scientifico per media internazionali prestigiosi, come National Geographic, perché “diffondere, nei modi giusti, questo tema è importante” spiega, “ed è importante far capire a tutti, quanto le storie di individui del passato siano utili per capire chi siamo e da dove veniamo. Queste storie sono le nostre storie, e abbiamo il dovere di proteggerle”. Ora Dario dovrà lasciare Bolzano, la crisi economica si abbatte – ahimè – anche sulla ricerca, ma la missione di questo giovane e appassionato mummiologo continua, in cerca di nuove scoperte e nuovi spiragli sulla storia dell’umanità.

Per una persona giovane come lei, non è difficile rapportarsi quotidianamente con corpi senza vita? Che rapporto ha con la morte?

Lavorare in questo settore, mi ha aiutato a capire meglio il fenomeno naturale e sociale della morte. Qui è ancora considerato tabù, nella storia del ‘900 è diventata quasi come la pornografia, una cosa di cui non si può e non si deve parlare. In realtà questo concetto andrebbe elaborato socialmente, io ora per esempio vivo molto meglio il mio rapporto con la morte, anche attraverso una politica che sto adottando, quella del ricordo, della celebrazione della vita, per rendere giustizia alle persone e alle loro storie. Studiare le mummie é importante, perché quei gusci privi di vita sono la prova dell’esistenza di tanti esseri umani a cui possiamo dare voce ancora una volta grazie alla scienza.

E quando non è chiuso nei laboratori, che cosa fa?

Amo la musica. E l’arte, in particolare la pittura. In realtà, ho una vita sociale – parallela a quella lavorativa – molto attiva, amo uscire e divertirmi. E poi ho una grande passione, colleziono cartoline: delle mummie siciliane, naturalmente.

Relazionandosi ogni giorno con il passato, come vede il suo futuro?

So che combatterò sempre per fare questo lavoro e per far sì che le persone lo apprezzino. Il lavoro della ricerca è difficile, costringe a spostarsi spesso e a ogni tappa, si deve azzerare tutto e ricominciare da capo. Per me è come se avessi già vissuto moltissime vite, e soffro un po’ di “complesso dell’abbandono”: odio separarmi dagli affetti, ma ogni volta devo farlo, non posso mollare, perché in questa scelta di vita ho investito tutto il mio passato, e anche tutto il mio futuro.

In Alto Adige, se si parla di mummie, si parla di Ötzi. Lei che rapporto ha con la mummia del Similaun?

Ötzi è la mummia con cui ho lavorato meno, ma posso dire che tutta l’operazione che le sta intorno è molto astuta, ma anche lodevole. È una mummia straordinaria, che apre una finestra unica sulla preistoria, ha un valore scientifico immenso. Per quanto riguarda la strategia di marketing, è di certo una risorsa importante per il territorio, non solo sul piano turistico, ma anche perché con la sua importanza, legittima gli studi, anche più in generale, sulla mummiologia che vengono fatti qui in Alto Adige.

Dalla Sicilia, passando per molti altri posti, è finito a Bolzano, che ora però lascia di nuovo. Che relazione ha instaurato con la città altoatesina?

Con Bolzano ho un rapporto di amore-odio. La città mi piace molto, ho amici di ogni lingua e cultura, perché quel che conta davvero sono i rapporti umani veri, non le differenze linguistiche, come ancora spesso si pensa qui. Certo è un centro piccolo, e dunque per integrarsi ci vuole più tempo che altrove, ma questo è un luogo incantevole, e amo in particolare il fatto che non capisci mai dove inizia la città e dove la campagna. Se Bolzano avesse il mare, sarebbe il posto più bello del mondo!

Non tornerà più? Le dispiace andare via?

Continuerò a collaborare con l’Eurac, certo è un peccato dover andare via proprio ora che si era riusciti a far capire al grande pubblico il valore di questi studi. Questo era il momento giusto per avanzare con la ricerca a grandi passi, invece, per motivi economici, si è costretti a una battuta d’arresto. Ed è un peccato soprattutto perché in questo settore, la mummiologia, Bolzano avrebbe tutte le carte in regola per diventare un centro di importanza mondiale.

 Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige dell’1 aprile 2012

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