Music

March 22, 2012

Haydn: grande dispiegamento di forze per una prova impegnativa

Emanuele Zottino

Una prova decismante impegnativa, quella dell’Orchestra Haydn che si è esibita davanti la guida del direttore artistico Gustav Kuhn martedì 20 marzo scorso a Bolzano e mercoledì a Trento. In programma un’unica mastodontica opera, il Deutsches Requiem di Johannes Brahms, apice della musica sacra tardoromantica.

Sul palco un coro misto di 68 elementi, un soprano, un baritono e l’orchestra al gran completo, con qualche aggiunta tra cui l’arpa efficacemente raddoppiata. Insomma un gran dispiegamento di forze per affrontare insieme la drammaticità potente del lavoro di Brahms, una composizione che orgogliosamente manifesta la sua originalità, stilistica da un lato, di contenuti dall’altro.

Che religiosità propone l’opera in questione? O meglio, quale laica visione della morte e del suo superamento offre il Requiem tedesco? E come prendono forma in suoni tali questioni?

Quello che la versione di Kuhn e compagni hanno rispettato è innanzitutto il taglio in due che l’opera suggerisce: una prima parte drammatica, spesso cupa, severa, di profonda concentrazione; e una seconda parte carica di aperture, di bagliori, di slanci. Se volessimo puntare al filo rosso che unisce l’opera, potremmo dire che la seconda parte altro non è che il superamento della prima, la sua maturazione, il suo naturale divenire. Complimenti dunque alla Haydn e al coro per aver mantenuto forte questo percorso, che ha permesso di costruire una direzionalità nel difficile ascolto, proponendo un senso nella grande forma che è fondamentale affinché tutta l’architettura non si sfilacci.

D’altro canto – è proprio il caso di usare quest’espressione! – il coro Haydn, formato dall’unione di ben tre cori, è risultato alla lunga troppo invasivo soprattutto rispetto agli archi. Questi ultimi hanno faticato a reggere il confronto proprio a livello di resa sonora, di massa, e ci è sembrato, istigati anche dalla componente visiva, che il coro schiacciasse l’orchestra e rompesse l’equilibrio tra i due grandi gruppi. Se forse ci ha guadagnato la potenza delle parti corali, ci ha rimesso soprattutto la componente contrappuntistica, cioè tutti quegli equilibri e incastri che fanno di Brahms il Bach del secondo Ottocento. A farne le spese sono state soprattutto le articolazioni ritmiche. Ribadiamo: le parti corali sono centrali nell’opera, ed è bello che si sentano come le trombe del paradiso, ma potenziarle in eccesso a reso timido il motore ritmico-melodico. Peccato.

Ad ogni modo, tirando le somme, l’effetto dell’esperienza è stato coinvolgente. Abbiamo capito un po’ di più chi era Brahms e che cosa intendeva comunicarci con un pezzo così impegnativo. Ma soprattutto abbiamo sentito vibrazioni belle forti, dense, a tratti semplicemente potenti, a tratti anche sensibilmente profonde. Ed è accaduto a credenti e non. Questo rimane il mistero della musica sacra (quella vera). Quando viene suonata come Dio comanda – anche questa volta è il caso! – sa coinvolgere indipendentemente dal grado o dalla totale assenza di religiosità, misticismo, spiritualità di caiscuno.

 

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