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March 9, 2012

Diamo i numeri. Della cultura in Alto Adige

Daniele Rielli

Michel Foucault sosteneva che poche discipline siano state fondamentali nella creazione degli stati nazionali quanto la statistica, attraverso di essa per la prima volta il potere s’interessava a misurare aspetti della vita dei cittadini che per secoli non gli erano mai interessati. Nell’epoca delle democrazia di massa il potere sente con ancora maggiore urgenza il bisogno di misurare attraverso i numeri l’efficacia del suo lavoro e di quello della società civile, tentando così di tirare le somme del presente e del futuro. Se guardiamo i numeri della cultura per il 2010 in Alto Adige scopriamo un settore spettacoli in lieve affanno, un settore museale in lieve crescita e una voglia di leggere in aumento come se in tempi di crisi fosse più importante provare a capire che fare festa. 731 operatori culturali sul territorio dell’Alto Adige non sono certo pochi anche se sono 38 di meno rispetto al 2009. Si tratta al 96% di associazioni culturali e la loro attività principale è la musica che impiega ben il 68,9% (+2,2%) seguita a lunga distanza dal Teatro con il 16,3% (-2,3%) e la danza al 5,5%(+0,7). A questo si aggiunga l’attività diretta delle istituzioni che porta la fruizione di spettacoli dal vivo al di sopra delle medie europee comprese fra il 13 e il 16%. A Bolzano con gli spettacoli dal vivo si è raggiunto il 34%, mentre su musei ed attività espositive addirittura il 45%. Il dato forse più interessante è che la percentuale di gradimento per le politiche culturali nel capoluogo è dell’80%, il che significa che anche chi non mette mai piede in un teatro, ad un concerto o a un cinema esprime apprezzamento per la vita culturale della città. Un record singolare forse frutto dell’abitudine bolzanina a sentirsi un’enclave di perfezione ed efficienza o forse dovuto alla bontà delle linee guida per lo stimolo della domanda culturale che l’ufficio alla cultura italiana ha seguito negli ultimi anni. Linee che hanno posto al centro della progettazione culturale non solo strategie di commistione ovvero “scomposizione dei classici format culturali” ma anche integrazione nel budget delle risorse necessarie per la promozione, come una qualsiasi altra attività commerciale. Il risultato sono state grandi e articolate campagne di comunicazione che hanno generato la sensazione di un’intensa vita culturale anche presso chi non ne prende parte. Un approccio efficace ma non scontato in questo campo che ha permesso di ampliare quella fascia di popolazione colta che ogni operatore si trova in dote nel contesto europeo cercando di attrarre quelli che in una ricerca dell’Eurisko sull’Alto Adige di qualche anno erano definiti i “casa-lavoro-tv” (il 20% della popolazione). Sono stati 550mila (-10.001) i biglietti staccati per tutti i tipi di teatro nel 2010, mentre un’impressionante calo di -189.339 unità colpisce il settore musica che passa a 1.544.654, con solo la musica sacra in crescita con 558.530 (+8.601), contro i 101mila in tutto del cinema e gli 85mila della danza. Le esposizioni di quadri fotografie o oggetti d’arte hanno raggiunto complessivamente le 87 mila presenze. A farla da padrone geograficamente è comprensibilmente il capoluogo che attrae il 13,1% degli spettacoli, il 26,7% delle rappresentazioni e il 18,2% del totale dei visitatori, seguono nella classifica Merano, Bressanone e Vipiteno. Se ponderiamo i dati sulla base della popolazione però ci accorgiamo che Bolzano passa dalla cima al fondo della classifica, presentando il peggior rapporto fra numero della popolazione e spettacoli offerti con 15, 1 spettacoli ogni 1000 abitanti, contro i 35,8 dell’alta val d’isarco. Anche in questo settore si conferma la ben nota tendenza altoatesina a penalizzare il capoluogo a favore della periferia e delle valli, un capoluogo che forse non caso nel campo della musica in crisi di numeri, discute da anni senza trovare una soluzione su dove realizzare un nuovo Kubo. Globalmente a fronte di un volume d’affari di 35milioni di euro, solo il 20,1% è costituito da incassi e a oltre i 50% da contributi e al 19,6% da donazioni e offerte. 83 sono invece i musei dell’Alto Adige e hanno attratto 1.474.414 visitatori (+1,2%) a farla da padrone sono i musei storico culturali con un ottimo 413.261 visitatori (+113.860) seguiti da quelli archeologici con 244.388 visitatori (-1000). Il settore museale rispetto a quello degli spettacoli dipende meno dai finanziamenti pubblici (41,5%) affiancando ai ricavi degli ingressi (19,4%) gli introiti da quote sociali e offerte (10,2%) le visite guidate (7,9%) l’oggettistica e la ristorazione (7,5%) e le sponsorizzazioni (4,0%). Ben 2,6 milioni i libri presi in prestito nelle biblioteche altoatesine, 200mila in più dell’anno precedente, e qui per una volta il capoluogo non è svantaggiato in termini di domanda e offerta con i suoi 1.113.447 libri e 448.230 prestiti (+115.920) contro i 265.818 libri e 467.452 prestiti (-21.578)della Val Pusteria. Chissà forse da quelle parti i bibliotecari conoscono meglio i gusti dei cittadini.

Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 7 marzo 2012

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There are 6 comments for this article.
  • El_Pinta · 

    Mi piacerebbe sapere la fonte da cui sono tratti i dati, che sono abbastanza interessanti, anche se forse andrebbero affiancati più spesso da parametri di valutazione qualitativa dell’offerta culturale…

  • quit · 

    sono principalmente dati astat che trovi in freedownload sul sito della provincia di Bolzano.
    poi c’è l’indagine Eurisko che è qualitativa ma datata risalendo al 2001, e alcuni documenti interessanti sulle linee guida culturali della provincia scritti di Antonio Lampis che trovi anch’essi sul sito.
    Ovvio che non bisognerebbe misurare la cultura in numeri, difficile però non farlo in articolo che parla di statistiche ;)

  • El_Pinta · 

    Grazie delle precisazioni…cmq il mio era un auspicio rispetto agli estensori delle statistiche stesse e non all’autore del post. Conoscere, ad esempio, come vengono recensite le iniziative culturali presenti sul territorio sulla stampa specializzata nazionale o quali sono i progetti che vengono citati per la loro importanza accademica (ad esempio le mostre) sarebbe utile per potersi fare un’idea di quanto la cultura altoatesina sia capace di connettersi al dibattito e alle tendenze in atto nel panorama nazionale e internazionale…

  • Luca Sticcotti · 

    La conferma “statistica” della parziale crisi in cui versa il settore della musica è senz’altro un dato interessante sul quale occorrerebbe una riflessione approfondita…

  • quit · 

    @Pinta, vero un’indice del genere sarebbe interessante anche se necessiterebbe molto lavoro, e non sono sicuro che darebbe ottimi risultati. Questo perchè come si è detto più volte mancano grossi eventi, a fronte di una miriade di piccole iniziative. Il vantaggio è che con un modello di questo tipo incentiva a partecipazione diffusa da un punto di vista organizzativo,che a mio parere è un’ottima cosa, ma dall’altro si raggiungono poche eccellenze anche perchè quando qualcuno si eleva dal livello medio/basso iniziano i problemi. Fanno eccezzione campi come l’arte contemporanea dove però come diceva Baudrillard ne “il complotto dell’arte” il valore dell’opera è calato dall’alto dagli operatori del settore che decidono in maniera totalmente autoreferenziale cosa arte e cosa no, il che fa di questa branca della vita culturale qualcosa di facilmente gestibile nella sua arbitrarietà e contemporaneamente molto di moda, ma fondamentalmente anche un fenomeno che per i suoi limiti intrinsechi non potrà mai raggiungere grandi fasce di pubblico. E non perchè questo non sia culturalmente in grado di capirlo, ma anzi proprio perchè lo capisce fin troppo bene.

    @Luca I dati della musica sono indubbiamente i peggiori in assoluto, ma come ho già scritto su queste pagine bisogna chiedersi quanto non sia semplicemente un’epoca ad essere finita. Probabilmente avrai visto quel post che gira su fb con i cachet delle band rock/alternative italiane. C’è decisamente poca trippa per gatti,ma questo deriva da un’incapacità diffusa di questi nomi di mobilitare persone, e non è detto che sia tutta colpa della crisi.Forse è proprio il modello musicale della band ad essere in crisi, costi alti ricavi bassi. Un po’ come successe alle big band decenni fa

    • El_Pinta · 

      Certo un indice in grado di misurare la qualità probabilmente non darebbe dei buoni risultati proprio per i motivi che hai evidenziato con chiarezza. Sarebbe comunque uno strumento interessante per avere una visione “critica” del lavoro degli operatori culturali e, magari, uno sprone a migliorare, no?
      Quanto alle considerazioni sul mercato dell’arte sono abbastanza d’accordo, ma mi pare che sia un meccanismo che si possa generalizzare anche ad altri ambiti, ma qui stiamo andando off topic e quindi mi fermo ;)