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January 31, 2012

Associazioni o dissociazioni culturali? Settore da rinnovare

Luca Sticcotti

Che caratteristiche ha, oggi, l’associazionismo culturale in Alto Adige Südtirol ed in particolare quello che possiamo definire anche oggi – non senza qualche forzatura – di lingua italiana?

E’ un po’ di tempo che questo interrogativo ha fatto capolino nella mente di chi scrive, aggirandosi in maniera petulante e suscitando pensieri non sempre felici.
La sensazione è che lo scenario in cui ci si muove sia costituito da numerosi soggetti associativi dalla storia più o meno antica e gloriosa, che hanno mantenuto formalmente la loro “ragione sociale” – nel senso degli obiettivi statutari – senza però aver per questo conservato un’altra “ragione sociale”, e cioè quella spinta aggregativa tendente a “fare comunità” che è propria dell’associazionismo culturale.

Il panorama osservato infatti spesso tende ad assomigliare più ad una foto ingiallita degli anni ’70/’80 che ad contesto vivo e aperto, in grado rispondere in modo agile ai grandi cambiamenti che sono avvenuti negli ultimi decenni di vita altoatesina e che recentemente stanno vivendo un’ulteriore accelerazione.

Mi voglio spingere oltre, scomodando quello che è un vero e proprio totem per la città di Bolzano e in questo modo trasferendo le seguenti considerazioni nella specifica realtà del capoluogo.
A Bolzano è come se la vicenda dell’ex Monopolio – unica esperienza (abortita) di centro sociale, abbattuta senza tanti complimenti nei tardi anni ’70 – avesse in qualche modo spento in città la specifica prolificità associativa . Da allora infatti i soggetti associativi sono più o meno quelli e, se è vero che alcuni nel frattempo si sono dissolti, è altrettanto vero che tra le associazioni (ancora) attive, molte hanno vissuto “mutazioni”, sul cui genere forse è il caso di iniziare una riflessione. I cambiamenti anche radicali sono fatto naturale dopo 30 anni, per carità; e in alcuni casi, virtuosi, si è trattato di consolidamenti sia nella struttura che nelle attività che hanno permesso alle relative associazioni di divenire devi veri e propri “fari” nel panorama culturale locale.
Ma in molti altri casi – la maggioranza – i cambiamenti sono stati altri e molto meno funzionali agli aspetti “socializzanti” sopracitati.

Mi si obietterà che i tempi sono cambiati e che oggi viviamo in un contesto sociale in cui l’individualismo è imperante. Non ne sono così sicuro: secondo me anche oggi la gente si aggrega – basti vedere il fenomeno degli hippy tour” – ma lo fa sempre meno per svolgere una parte attiva in proposte di carattere culturale. Fino a pochi anni fa, a dire il vero, si è registrata una forte spinta “fruitiva”, ma anche a questo proposito in questi ultimi mesi si sta registrando una certa flessione, che è stata oggetto di dibattito anche qui su Franz.

Bisogna poi osservare che un ruolo cruciale nel processo di “svuotamento” delle associazioni è stato svolto dagli enti pubblici, comunali e provinciali, che sono intervenuti con le loro legislazioni con lo scopo, meritorio, di sostenere economicamente i consessi, ma che in alcuni casi hanno provocato l’effetto perverso di trasformarne la “ragione sociale” proprio nel conseguimento dei finanziamenti stessi.
E’ poi successo che la necessità da parte degli enti pubblici di avere – nelle associazioni – interlocutori ben definiti ha finito per trasformare realtà dall’originaria forte spinta aggregativa in sorta di “one man band” in cui, al di là del presidente, i soci divengono solo una presenza virtuale sulla carta.

Con un po’ di fantasia potremmo allora dire che oggi alle libere associazioni di individui accomunati da comuni passioni ed interessi si sono affiancate categorie mutate che potremmo quasi definire, provocatoriamente, “dissociazioni culturali”.
I meccanismi sono diversi. In certi casi, come detto, si è trattato di uno svuotamento del contenuto associativo a favore di una paradossale “individualizzazione”. In altri invece le dissociazioni sono scaturite dalla fuoriuscita polemica di una parte dei soci che sono andati a costituire un’altra associazione, frequentemente in concorrenza se non in guerra con il contesto originario di provenienza.

Insomma: lo scenario risulta essere caratterizzato dalla presenza di associazioni, associazioni individualizzate ed associazioni in diretta concorrenza che si muovono in un contesto poco dinamico. E’ normale allora che spesso le associazioni si lamentino con l’ente pubblico per la mancanza di un coordinamento, rispetto al quale sono però subito pronte ad opporsi, in nome della propria autonomia. Così come è logico che in questa situazione gli enti pubblico (tecnici e politici) facciano fatica a muoversi, per la paura di non pregiudicare i delicati equilibri faticosamente raggiunti.

Che fare?

A mio avviso è ora che tutti gli attori della questione – e cioè responsabili delle associazioni, soci, tecnici dell’ente pubblico, operatori culturali e dello spettacolo, politici, ma soprattutto I CITTADINI – si rimbocchino le maniche per rinnovare dalle fondamenta l’associazionismo culturale locale.

Mi pare davvero una cosa nell’interesse di tutti e per la quale la candidatura del Nordest quale capitale europea della cultura può essere un’occasione in più. Prestando attenzione però: il salto di qualità sopra delineato non è possibile se vengono valorizzate una tantum solo le associazioni più accreditate e propositive. E’ l’intero sistema che va rinnovato partendo dalle fondamenta. Non è facile ma bisogna avere coraggio, ora come non mai.

 

Voi cosa ne pensate?

 

 

 

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There are 7 comments for this article.
  • Massimo · 

    Ciao sono Massimo e sono il presidente di un’associazione culturale (fotografia) nata da pochi anni e non facente parte del circuito di interlocutori delle istituzioni (nn siamo ancora registrati e, francamente, x ore mi va bene così). Nn so se sono la persona più qualificata nel giudicare, parolone, nel mettere grigio su bianco il mio pensiero, ma prometto di pensare e riflettere su quanto da te vergato (digitalmnente parlando) nel tuo articolo. Come detto ci rifletterò e se riterrò di doverlo fare ripasserò da queste parti e ti dirò la mia.
    Noi siamo aggregati gli uni agli altri per il solo piacere della fotografia. Siamo, secondo il tuo metro, arcaici? Nn so io nn mi sento poi così matusa ma, certo, non sono un pischello di primo pelo, offriamo molto, certo, l’ambito è quello, nn siamo tantissimi ma ci divertiamo con la nostra passione.

    See U, M.

  • Roberto D'ambrogio · 

    come movimento dissociativo potremmo individuare la cultura del NO (un po’ infantile ci dicevano una volta….), forse si tratta di cominciare a condividere (o almeno scambiarsi idee) il negativo; non si tratta di “capricci”, o indignazioni; nemmeno di occupy-azioni forse; si tratta di costruire un tempo libero non solo dis-occupato, con un progetto in mano o in testa, non da comprare al mercato pronto da consumare; il fatto è che adesso mi conquisto questi 5 minuti per scrivere, perchè non c’è nessuno dietro di me che mi sta chiedendo cosa fare! la contrazione del lavoro libera o angoscia? forse un sorriso aiuta, forse i gesti comunicano di più delle parole, e per questo occorre ripartire dagli spazi: proviamo a ridisegnare la città camminando insieme, proprio camminando, con le gambe (leggersi tutti: adriano labbucci – camminare, una rivoluzione – donzelli)

  • franco bertoldi · 

    Caro Luca ciao! Ti scrivo qui solo una piccola osservazione, per di più scaturita “di getto” dal mio anziano e provato cervellino. Io credo che la questione vada posta distinguendo bene tra fine e mezzo. Mi spiego: l’associazionismo e le associazioni credo costituiscano “solo” un mezzo (talvolta efficace e talaltra meno) per realizzare degli scopi, degli obiettivi, delle finalità. Questi sono i veri motori dei nostri sforzi associativi, che comunque vanno sempre considerati e lodati in ogni momento. Nessuno (o quasi…) fonda un’associazione per il fatto stesso di “stare insieme”, di “associarsi”, ma prevalentemente “per realizzare qualcosa”. Questo qualcosa può essere nuovo (o no) e può essere utile (o no) ed infine può essere in armonia con le linee di politica culturale degli enti pubblici (o no). Se lo è, l’associazione riceverà dei contributi pubblici, perché andrà ad alleggerire i compiti e le spese dell’ente stesso. Infatti i costi di realizzazione dei programmi e dei progetti delle varie associazioni sono comunque molto più bassi di quanto sarebbero i costi se le stesse attività fissero svolte direttamente dalla Provincia o dal Comune. Anche perché (non dimentichiamolo mai) lì ci sta dentro (non solo, ma anche) un sacco di lavoro gratuito, di volontariato. Credo che il sistema oggi funzioni così. In questo quadro. Le associazioni nascono per realizzare dei progetti, per poter offrire attività, opportunità, esperienze in ambito culturale, o del tempo libero. È poi nella conduzione delle attività, cioè nella vita delle associazioni, cioè nella vita delle persone, che si sviluppano dinamiche relazionali, amori, grandi affinità, antipatie… Cose della vita, appunto. E così le associazioni durano, si sviluppano oppure muoiono, si atrofizzano. Guardare all’associazionismo prescindendo da questo quadro mi parrebbe restrittivo e fuorviante. Se ci fossero altri modi per realizzare progetti, si frequenterebbero altre strade. Ed in parte ci sono, e vengono seguite. La mia esperienza personale è incoraggiante. Il numero di persone attratte e ora coinvolte a vario titolo nell’associazione che ho fondato (MusicaBlu) è via via cresciuto e sta crescendo ancora, e non viceversa! E così le collaborazioni e le aperture. Quindi proporrei di studiare il fenomeno da un altro punto di vista: quanto si progetta e quanto si realizza in campo associativo? quali ambiti culturali, musicali ecc sono, più o meno, interamente coperti da questo settore? quante persone ne usufruiscono, quanto sono seguite le offerte di questo settore? Intanto grazie, a presto! Franco

  • Andreas Perugini · 

    Luca, in parte concordo. In parte denoto che dalla tua analisi manca una critica alla politica stessa dell’Assessorato che è poi il soggetto che ha innescato e che governa l’intero sistema. Ci sono doppioni? Ci sono associazioni sedute? Vero, ma di chi è la responsabilità ultima? Gli italiani evadono. Possiamo dire che sono antropologicamente dei parassiti e che devono sforzarsi di cambiare la loro natura. Oppure possiamo affrontare un’analisi sociologica del fenomeno. Ecco. Manca l’analisi sociologica. Tu inviti le associazioni a cambiare i loro vizi, ma non accenni che la Provincia si muove per lo smantellamento del tessuto associazionistico. Non accenni che sta proponendo (occultamente) un modello diametralmente opposto all’attuale: grandi eventi al posto dell’associazionismo diffuso. Secondo me sta insomma facendo esattamente il contrario di quello che dovrebbe. In piena decrescita insegue gli anni ’80. Il sistema clientelare non c’entra? Sta migliorando la situazione? Non mi sembra affatto. La parabola del Masetti mi sembra esemplificativa in questo senso. Di fronte agli errori anche enormi commessi dall’associazione c’è una latitanza delle istituzioni e ci sono responsabilità politiche anche gravi. Al posto del Masetti il quartiere avrà una sala giochi. Anche qui ci sono responsabilità gravi. Non penso che si possa prescindere anche da queste analisi una valutazione complessiva sul sistema associazionistico.

  • Paolo Laitempergher · 

    Il ‘fare cultura’, a Bolzano poi, non è semplice. Non lo è forse mai stato. Non lo è sicuramente oggi. ‘Cultura’ è una parola che, ancora oggi, fa paura ed incute un certo reverenziale timore. Ne sono un esempio argomenti ‘locali’ quali la storia dell’Alto Adige, la storia dell’arte, ma anche le attività artistiche in genere, o l’architettura, l’urbanistica che -per quanto ritenuti argomenti interessanti, finalizzati all’aggregazione della comunità italiana e di cui se ne lamenta ancora oggi una limitata divulgazione- faticano ad essere considerati finanziabili dagli assessorati. Assessorati probabilmente avviluppati più dalle/nelle attenzioni di/ad un sistema burocratico troppo spesso ridondante e caratterizzato addirittura da oltre sei o sette edizioni dei criteri (in meno di 20 anni!). Sistema burocratico che, a mio avviso, mina le associazioni anche nell’elemento aggregativo, prendendole però più per noia che per timore delle esacerbate responsabilità delegate ed imposte al presidente o al consiglio direttivo dell’ente che decide l’avventura del chiedere un contributo. Contributo previsto dalle norme in vigore per aiutare quei soggetti che vogliono proporre iniziative e le vogliono condividere e portare all’esterno dell’associazione proponente. Non stupiamoci quindi dell’ one-man-band laddove esista, il quale è un soggetto forse quasi meritorio di beatificazione in vita, anche perché al giorno d’oggi, proprio per l’esistenza di tale sistema burocratico, è impensabile ritenere l’operato associativo finalizzato al solo ottenimento di contributi. Il focus, oggi, deve tornare prepotentemente sulle attività culturali. E non sui timbri, sulle interpretazioni delle norme e sulle marche bollate.

  • Luca Sticcotti · 

    @Massimo: aggregarsi a partire da un passione comune e non per forza “registrarsi” è il sale della società, oltre che della vita associativa.
    @Roberto: la cultura del “no” ha sempre avuto una parte davvero significativa nel nostro panorama cittadino. Quello che ci manca oggi rispetto al passato è forse qualche sogno in più da cullare e da cercare di realizzare insieme ad altri. Mettendoci anche qualche soldo nostro, senza andare sempre ad attingere ad una fonte pubblica che si sta rapidamente prosciugando.
    @Franco: occorre un’analisi approfondita dell’attuale panorama associativo per verificare che sia adeguato alle reali esigenze. Sollecitando le associazioni ad essere realmente propositive ma soprattutto creative.
    @Andreas: il sistema politico ha anche gravi responsabilità in merito alle storture del comparto associativo. E’ proprio per questo che occorre che le associazioni si chiariscano innanzitutto le idee al loro interno e magari entrino in dialogo tra di loro per poter poi sollecitare l’ente pubblico a modificare i suoi obiettivi e sue le modalità operative. Bisogna essere credibili, propositivi e dialoganti. E soprattutto avere progetti culturali e proposte vincenti.
    @Paolo: tu indichi nella complessità della burocrazia un vero e proprio spauracchio in grado di far passare la voglia ai più e di promuovere, ahinoi, proprio gli one-man-band magari senza idee. Qualcosa è stato fatto per semplificare, in questo senso. Ma non basta. Occorre davvero trovare il modo di promuovere una forma di collaborazione con l’ente pubblico che permetta alle associazioni di impegnare le loro energie in quello che è il loro specifico. E cioè il proporre e l’aggregare.

    • Paolo Laitempergher · 

      > “Occorre [...] trovare il modo di promuovere una [...] collaborazione con l’ente pubblico che permetta alle associazioni di impegnare le loro energie [nel] proporre e l’aggregare.”

      Certo: sia il ‘proporre’ e ‘l’aggregare’ ed il ‘proporre per aggregare’. Infatti la produzione degli eventuali one-man-band di solito non mi risulta essere proposta ad uso e consumo personale. Il fine è e dev’essere sempre quello: l’apertura delle iniziative alla collettività. Anche dei non iscritti. Se poi sono organizzate da un one-man-band, questo a mio avviso non implica che ne debba risentire la qualità della proposta.